Carcere di Trani

Il Nucleo Investigativo Regionale della Polizia Penitenziaria di Bari, coordinato dal Nucleo
Investigativo Centrale di Roma, al termine di una prolungata ed articolata indagine diretta
dalla Procura della Repubblica di Trani, su disposizione del Giudice per le indagini
preliminari, ha applicato la sospensione dall’ufficio di operatore di Polizia penitenziaria nei confronti di due agenti in servizio presso la Casa Circondariale di Trani, uno dei quali all’epoca dei fatti Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria del carcere di Trani. In prima istanza il Giudice per le Indagini Preliminari non aveva ritenuto meritevole di accoglimento le richieste della Procura, pur ritenendo provati i fatti contestati. In relazione alla prima posizione, il giudice aveva condiviso l’ipotesi in base alla quale l’indagato avrebbe cancellato le memorie dei telefoni in uso alla Casa circondariale al fine di eliminare le tracce delle irregolarità nella gestione delle conversazioni in periodo di pandemia, escludendo però la possibilità di qualificare come depistaggio tale condotta in ragione della inconsapevolezza del carattere penalmente rilevante delle condotte dei colleghi.

La decisione del g.i.p. è stata impugnata dall’ufficio di Procura ed il Tribunale del Riesame
di Bari, con ordinanza confermata dalla Corte di Cassazione e oggetto di esecuzione, ha
irrogato la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di operatore di
Polizia Penitenziaria. La motivazione della pronunzia della Corte di Cassazione non è ancora stata depositata. Si legge nel provvedimento del Tribunale di Bari: “L’atteggiamento
complessivamente tenuto, anche attraverso condotte non specificamente costituenti reato, è stato di generale accondiscendenza rispetto a prassi illecite largamente diffuse presso la Casa circondariale di Trani. Le condotte di depistaggio successivamente attuate erano finalizzate a rendere più arduo l’accertamento delle pregresse irregolarità, di ipotizzabile rilievo penale. Per quanto non consti che l’indagato abbia conseguito per sé utilità economicamente apprezzabili, è emerso che la tolleranza degli abusi e la loro “copertura” rappresentasse per lui un approccio ordinario alla gestione dell’ufficio”.

In relazione alle ipotesi di corruzione (per favorire incontri irregolari fra detenuti e familiari), contestate al secondo agente, il giudice aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di reato, escludendo tuttavia l’esistenza di esigenze cautelari. La decisione del g.i.p. è stata impugnata dall’ufficio di Procura ed il Tribunale del Riesame di Bari ha irrogato la misura interdittiva (non impugnata) della sospensione dal pubblico ufficio di operatore di Polizia Penitenziaria. Il Tribunale di Bari ha evidenziato che “la valutazione delle modalità attraverso le quali si sono verificati i fatti oggetto di indagine e, in particolar modo, dello stretto e confidenziale rapporto tra i pubblici ufficiali e i privati protagonisti degli episodi corruttivi induce a ritenere le condotte monitorate non occasionali e anzi frutto di un consolidato modus operandi. Non vi è alcuna traccia di resipiscenza o anche solo di consapevolezza circa il disvalore dei propri agiti, determinati dalla prospettiva di sia pur modeste utilità, quali i generi alimentari che l’indagato si faceva promettere e riceveva dai parenti dei detenuti. La naturalezza e l’assenza di remore palesate dalle conversazioni intercettate evidenziano che per il sottufficiale tale contegno era “normale””.