Una rapina al portavalori per sfruttare le armi in possesso, disposti a tutto per fare soldi e non soltato attraverso lo spaccio. È questo ciò che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare del Gip Simona Panzera. La giudice ha permesso di contrastare una forte attività criminale nel Basso Salento, attraverso un blitz all’alba del 15 novembre. A studiare il colpo al portavalori sarebbero stati Cristian Ponzetta, 29enne di Melissano tra gli indagati e piede libero, Emanuel Pierri, 25enne di Ugento, e suo nonno materno Vincenzo Zaccaria, 79enne.
L’incontro risale al 21 luglio 2019 tenutosi a casa di Zaccaria, dove il nipote presentò Ponzetta, paragonandolo a Vallanzasca per lo spessore criminale: “Questo è parente di Vallanzasca (…) È buono a portare la macchina per le banche, per quelle cose, lui è sempre stato in gamba, si è fatto 10/15 anni proprio per questo motivo qua (…) Per le poste, le banche, si cala il cappuccio e scappa come un pazzo e non lo fermi eh… Non lo arrivi”.

Durante la riunione sono stati anche discussi i ruoli, con il nonno a fare da palo perché insospettabile, mentre Pierri stimava le armi a disposizione, ossia: un kalashnikov, una pistola 9×21, un’altra di tipo 38 special e un fucile a pompa; Ponzetta invece lamentava di avere soltanto una Calibro 7 perché tempo prima aveva venduto un kalashnikov. Nel piano era previsto anche un conflitto a fuoco o un incidente, se necessario per fermare i vigilanti, così come un atto intimidatorio, costituito da fotografie di mogli e figli dei sorveglianti.
Era stato preso in considerazione anche l’utilizzo di una macchina di grossa cilindrata, da usare insieme ad una moto, sotto suggerimento di Ponzetta. In seguito all’assalto, il trittico avrebbe diviso il bottino per poi convergere su Torino, come afferma Pierri: “Poi ci facciamo una settimana a Torino per difriscare (rilassarci ndr).

Quattro giorni più tardi però, la Polizia Giudiziaria compì un sopralluogo su un terreno in contrada “Madonna del Casale”, sempre ad Ugento. Adiacentemente ad un “muretto a secco”, erano stati seppelliti un fucile doppietta retrocarica Calibro 12, risultato rubato a Racale il 29 luglio 2016, e dieci cartucce dello stesso calibro; una pistola Calibro 7.65 con matricola abrasa, marca Beretta, provvista di caricatore con all’interno otto cartucce.
In seguito al sequestro, emerge da un’intercettazione la titubanza di Pierri e della madre, che si chiedevano come i Carabinieri fossero riusciti a trovare le armi. I due avevano fatto ricadere i sospetti su alcune persone a loro vicine, con il figlio che chiedeva se il terreno fosse intestato a lei oppure al nonno.

Simona Panzera, riguardo questo episodio, ha così commentato: “La definitiva conferma poi della riconducibilità delle armi ai Pierri perveniva dal fatto che, per tranquillizzare la madre, le diceva di averle abbondantemente oleate per evitare, a suo parere, l’eventuale rilevamento delle impronte papillari che avrebbe condotto a loro”.
Secondo le indagini, le armi trovate dai Carabinieri erano di “tutti”, come sottolinea la Gip: “Nel caso di specie non solo, invero, risulta che i partecipi disponessero di molteplici armi della cui esistenza tutti erano consapevoli, ma anche che essi se ne garantivano il possesso per salvaguardare i loro comuni interessi economici”.