I pronto soccorso del Barese sono al collasso e spesso i pazienti trasportati dal 118 devono fare giri assurdi per riuscire a essere triagiati o peggio ancora ricoverati.

Uno dei pronto soccorso più in crisi è quello dell’ospedale della Murgia, diretto dal dottor Antonio Dibello, contemporaneamente coordinatore del 118.

Per la difficile situazione denunciata dei vertici del pronto soccorso, due giorni fa la Asl di Bari ne ha addirittura decretato la chiusura temporanea, moltiplicando i già tanti disagi vissuti dalla popolazione murgiana.

La storia della stanza vuota e del posto letto liberatosi solo dopo l’ira del medico del 118 ha fatto molto rumore, così come le tante odissee di pazienti morti o aggravatisi in attesa di essere accettati o sottoposti alle cure necessarie.

Tutto un altro capitolo è quello delle morti collaterali, che passano in secondo o terzo piano: patologie serie, spesso trascurate per occuparsi dei pazienti covid positivi, in un sistema sanitario fattosi trovare impreparato alla prevista seconda ondata della pandemia. Un episodio che dovrebbe fare molto riflettere in tal senso è quello accaduto l’altra notte.

Secondo quanto avrebbe raccontato la moglie di un 61enne di Gravina, l’altro pomeriggio si sarebbero recati al pronto soccorso dell’ospedale Perinei, chiuso con tanto di circolare Asl (che pubblichiamo ndr). La risposta è disarmante: “Non c’è posto andate altrove”.

Sono le 18 del pomeriggio. Nel cuore della notte, intorno alle 2, i dolori al torace non sono affatto passati, così la coppia decide di chiamare il 118. Sono passate otto ore da quando il 61enne viene portato al pronto soccorso. Ha un infarto in corso. Quando arriva l’automedica da Altamura per avviare il percorso hub previsto in questi casi, sul posto c’è già l’ambulanza India di Poggiorsini. La cosiddetta golden hour (l’ora d’oro) è andata da tempo a farsi benedire.

Somministrata la terapia farmacologica, l’uomo viene caricato in ambulanza e trasportato in codice rosso all’ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti. Parte il solito viaggio della speranza, nel tentativo di consentire al paziente di recuperare quanto più miocardio possibile. In questi casi sono fondamentali anche i secondi. Giunti al Miulli, il 61enne viene sottoposto a tampone rapido e portato in emodinamica. Anche in questo caso non è ancora chiaro perché, pur essendo presente il macchinario, il tampone rapido non possa essere processato all’ospedale della Murgia.

Così come ormai appare sempre più evidente che la sala emodinamica dell’ospedale Perinei sia piuttosto un mantra elettorale. L’uomo si è salvato, seppure non sappiamo in quali condizioni. Di sicuro, non fosse stato chiuso il pronto soccorso e se all’ospedale della Murgia fosse stato possibile effettuare in loco il tampone rapido e fosse realmente operativa la sala di emodinamica, il paziente avrebbe rischiato meno.

Sull’ennesimo episodio che mette a nudo l’inadeguatezza del sistema non si è fatto attendere Francesco Papappicco, sindacalista e medico del 118. “Si rischia l’instaurarsi di una meritocrazia della malattia, in cui arriva prima il paziente covid e poi gli altri – tuona il medico -. Il totalitarismo mediatico di regime sembra stia pervasivamente supportando questo modo di leggere l’ondata pandemica, avendo il potere di rimaneggiare le singole menti a qualsiasi livello di censo e intelletto. Per questo la responsabilità e la decisione sono solo della politica”.

Senza dimenticare l’odiosissimo fenomeno delle raccomandazioni. Nella stanza vuota finita al centro delle polemiche, qualche giorno dopo, sarebbero stati accolti la mamma di un medico della direzione sanitaria e un infermiere covid positivo dello stesso Perinei, mentre agli altri pazienti era stato detto che non c’erano posti.

Papappicco lancia nuovamente il suo appello, urgente come non mai. “Bisogna a tutti i costi liberare gli ospedali e i pronto soccorso dai sospetti e dai pazienti covid, che rapidamente stanno assorbendo oltre la metà delle prestazioni sanitarie ospedaliere e del 118 – spiega – Esistono anche gli altri ammalati di patologie diverse, le urgenze territoriali come infarti, traumatizzati, pazienti in attesa di interventi chirurgici, diagnostica, accertamenti ambulatoriali ed ogni altra tipologia di assistenza e cura”.

Un’esortazione fatta alla vigilia della stagione invernale e quindi col rischio che la pandemia coincida col picco influenzale. “Urge decentrare le aree covid in strutture unicamente dedicate (dai tamponi, alla diagnostica radiologica, alle terapie intensive) – sostiene Papappicco – Ospedali da campo, caserme dismesse, aree fieristiche. Solo in questo modo si eviterà il contagio ospedaliero e il graduale ritorno alle cure di tutti i malati e sofferenti e a una medicina di base e territoriale degna di uno stato di diritto”.

Senza contare la mancanza di personale sanitario: “Occorre potenziare il territorio con infermieri dedicati alle terapie domiciliari di tutti i malati convalescenti e cronici e assumere medici e infermieri precari già in servizio da anni che attualmente trovano migliori occasioni al nord o all’estero affinché non si possa più lamentare la patetica carenza di personale”. A

sentire il medico del 118: “La storia della medicina e delle epidemie, l’ingegneria ospedaliera ci insegnano che le malattie contagiose, soprattutto per via aerea, vanno confinate in zone di cura lontane dagli ospedali, in modo da evitare che questi diventino a loro volta bacino di contagio per il resto della popolazione, infettando lo stesso personale sanitario. Per fare un esempio, è come se si trattasse di pazienti esposti a radiazioni, nessuno si sognerebbe di farli curare e assistere negli ospedali accanto agli altri malati. Liberate gli ospedali dal covid! È già tardi. La conta dei morti collaterali non comparirà da nessuna parte”.