In guerra ogni buco è trincea e per analogia, essendo quella al coronavirus una guerra, ogni tuta è buona per proteggersi dal rischio biologico, anche se il dispositivo individuale è realizzato solo per contenere il rischio meccanico. Succede in Puglia e in una buona parte del mondo. Le tute in questione sono le 120mila sbarcate in diretta Facebook l’altro giorno all’aeroporto di Bari.

D’un tratto riprende fuoco la polemica sui dispositivi non a norma contro cui si era scagliato anche il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, che per questo aveva scelto di fare da sé. In una nota inviata dalla Protezione Civile pugliese al Dipartimento della Salute e alle Aziende del Sistema Sanitario Regionale, si sancisce che se proprio nel mondo non si riescono a trovare tute opportune al contenimento del rischio biologico, nelle more quelle arrivate dalla Cina vanno bene.

Insomma, meglio feriti che morti. “Premesso che alla data odierna (9 aprile) si registra l’assoluta indisponibilità di tute protettive della categoria 4 per il rischio biologico, certificate secondo gli standard europei (Norma UNI-EN) – è scritto nella nota – si rileva la necessità di contenere la propagazione dell’epidemia, cosa che può essere assicurata solo attraverso meccanismi di barriera e protezione”. Si tratta di un modello di tute di protezione certificate secondo gli standard in vigore nella Repubblica Popolare Cinese (GB 19082-2009), “e che tali standard, sovrapponibili a quelli europei (UNI-EN) in vigore in Italia, si sono rivelati adeguati al contenimento dell’epidemia”.

E siccome meglio quello che niente: “… nelle more dell’avviato iter formale di riconoscimento dell’attestazione da parte dell’Inail, non può che ridurre i rischi innanzi richiamati, mentre il non utilizzo di alcuna barriera meccanica di protezione espone a rischio certo, si ritiene che la tuta IWODE Protection cod. fh 37001-3 possa essere utilmente distribuita ed utilizzata presso tutte le strutture preposte quale barriera meccanica di protezione”.

Medici e infermieri – non essendo specificato – si stanno chiedendo se per tutte le strutture s’intenda anche quelle covid. Anche in questo caso, di usare alla bisogna quelle tute cinesi ce lo dice l’Europa. Il punto 8 della Raccomandazione UE del 13 marzo scorso sostiene che “nel contesto della minaccia rappresentata dal covid-19 anche i DPI o i dispositivi medici privi della marcatura CE  potrebbero essere valutati e far parte di acquisti”. Di conseguenza – fa sapere la task force della Protezione Civile Pugliese “si dispone l’immediata distribuzione della tuta protettiva in oggetto richiamata”.

La questione è spinosa, non tanto per le fattezze della tuta. Del resto, se manca in tutto il mondo c’è poco da fare. Ad aver fatto scoppiare le polemiche è soprattutto la mancanza di comunicazione al personale sanitario a cui è destinata quella tuta, anche nelle strutture covid. Il primo a intervenire sulla questione è stato il presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche, Saverio Andreula.

“La tuta è utilizzabile esclusivamente per la protezione meccanica e non com’è in obbligo per la protezione dai rischi di contaminazione buologica”, scrive Andreula al presidente della Regione Puglia e a tutti i vertici sanitari di Policlinico e Asl. “Le tute distribuite al personale sanitario in area Covid 19 – continua Andreula – in Cina sono state utilizzate per le sole attività di sanificazione degli ambienti, poiché hanno le certificazioni standard cinesi di utilizzo proprio, non sovrapponibili agli standard europei. Si aggiunge che il modello in esame non è in elenco dei dispositivi medici certificati dall’Inail”.

Il presidente degli Infermieri, continua fornendo un’indicazione presente sulla confezione della tuta incriminata: “È severamente proibito l’utilizzo in luoghi con stretto controllo di tasso di microbiologicità in area di isolamento per il controllo di pazienti con gravi patologie”. La contestazione dell’OPI è quella fatta da tutti i sanitari: “Al momento della consegna, al personale viene nascosta la conoscenza delle caratteristiche tecniche e il rischio a cui è sottoposto nell’uso di un indumento di lavoro non conforme cui si aggiungono i calzari fabbricati in proprio con le buste di immondizia”.

La richiesta di Andreula ai direttori generali è chiara. “Diffidiamo i datori di lavoro a consegnare in uso del personale sanitario impegnato nelle aree Covid 19 le tute in oggetto- tuona il presidente OPI Bari -, con la richiesta di fornire ai lavoratori i DPI conformi alla legge che hanno le certificazioni di contenimento del rischio biologico e rispondono agli standard di legge”.