Quando ha iniziato i lavori di restauro del complesso di Sant’Anna, al centro di uno scandalo per via della truffa sui finanziamenti scoperta dalla Guardia di Finanza, sul conto corrente dell’azienda aveva poco meno di 70mila euro. Oggi Daniele Maggipinto, 30 anni, uno dei 16 indagati, non ha un euro da parte e soprattutto è tornato a fare l’operaio a 450 euro al mese.

Storia di un imprenditore risucchiato dal vortice di un sistema che lo ha travolto. “Subito dopo aver iniziato i lavori – racconta – mi hanno spiegato la faccenda delle fatture gonfiate, dei soldi che avrei dovuto incassare e restituire. Con il tempo la storia è diventata un incubo, avevo i fornitori alla porta. Sono finito al pronto soccorso e sull’orlo di una depressione”.

Maggipinto, imprenditore apprezzato dal 2010 al 2016, non aveva mai subito un controllo prima di quello determinante, da cui è scattata l’inchiesta. Era il periodo in cui il peso eccessivo gli stava facendo fare mille pensieri. Accetta di collaborare con chi indaga, confessando tutto: la consegna dei soldi alle suore nella sede di Barivecchia, la storia del finto contratto per giustificare le fatture per le collaborazioni inesistenti da parte dall’azienda dell’ex assessore Vittorio Lippolis.

La paura di non lavorare, le pressioni dell’amico assessore, un carattere affabile lo portano sull’orlo del precipizio, convinto invece di iniziare un grosso lavoro, uno di quelli che diventano il tuo bigliettino da visita. Maggipinto, ironia della sorte, non ha tratto alcun beneficio dalla truffa, al contrario non ha percepito neppure quanto giustamente dovuto per i lavori, che tiene a spiegare: “Sono fatti a regola d’arte”. Lo abbiamo incontrato, chiedendo anche un parere al suo avvocato difensore, l’esperto Giuseppe Sgobba.