Quanto sta succedendo negli ospedali baresi ha dell’incredibile, tanto da far rimpiagere i “bei tempi”, quelli in cui l’infermiere in pensione o fuori dall’orario di lavoro ti faceva il prelievo a domicilio per 10 o addirittura 5 euro (il costo di un pacchetto si sigarette). Fino a quando non è scoppiato lo scandalo, pur essendoci una precisa normativa regionale in tal senso le Asl, compresa quella di Bari, sono rimaste a guardare.

Con i nostri servizi, fermo restando l’inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri del Nas, abbiamo stretto fra le mani un nervo scoperto. I Collegi Ipasvi di Bari e Bat sono insorti, scrivendo le proprie perplessità ai vertici della sanità pugliese, ma anche alla Procura della Repubblica, mentre le Asl stanno tentando di risolvere il bubbone, che poi corrisponde all’incapacità di assicurare finora un servizio sacrosanto per chi ne ha diritto, con determine temporanee in attesa della risoluzione non facile della faccenda.

Sì, perché nonostante i divieti, le carte da firmare, i ripassi e le regole, ognuno continua a fare i porci comodi propri. La caccia all’infermiere assunto dal servizio pubblico, che arrotondava fuori dal turno di servizio, non ha fatto altro che scatenare la concorrenza sleale tra cooperative, tornate di gran moda.

LA STORIA – Il genero di una novantenne sotto il controllo dell’ospedale Di Venere per la terapia del cumadin, forte della determina del direttore generale della Asl di Bari, è andato prima dal medico curante della donna, in mododa certificare l’impossibilità di deambulare e poi, immaginando di avere a casa un infermiere della Asl, è andato a Triggiano, sede del  proprio distretto di competenza.

Ciò che succede da quel momento in poi ha davvero dell’incredibile non fosse che abbiamo verificato il racconto fino all’ultima parola. Il dipendente della Asl al quale si è rivolto l’uomo il giorno prima della necessità del prelievo, ha candidamente suggerito un nome e un numero di telefono da chiamare per poter avere la prestazione a domicilio. Non quello di un infermiere della Asl, ma appartenente a una cooperaiva.

Ma come, all’utente non dovrebbe essere quantomeno dato un elenco di soggetti accreditati tra i quali scegliere quello che meglio risponde alle proprie esigenze? Evidentemente non c’è ancora alcun accreditamento in tal senso. Il genero della novantenne chiama l’infermiere, prendendo appuntamento per la mattina seguente. Costo del prelievo: 15 euro, comprensibili se includi anche la fattura, lo smaltimento corretto di ago e ovatta insanguinati, oltre al trasporto della provetta al Di Venere, l’ospedale che invierà il fax con il foglio della terapia.

Niente di tutto questo, invece. Alla famiglia non è stata rilasciata acluna ricevuta; ago e ovatta sono finiti nel cestino di casa e la provetta se l’è dovuta trasportare in ospedale il genero della malata, in tasca, senza le condizioni minime di sicurezza. L’infermiere, tra le altre cose non aveva lasciato, come richiesto in allegato, la fotocopia del documento di identità insieme al modulo in cui dichiara sotto la propria responsabilità di aver eseguito il prelievo a norma di legge.

Al Di Venere, essendo una terapia salva vita hanno accettato in ogni caso quella provetta, annunciando che non avrebbero potuto più chiudere un occhio la prossima volta. Peccato lo avessero detto anche la volta precedente e quella ancora prima. La verità è che si continua ad infrangere la legge e il buon senso, ma ciò che è più grave è poterlo fare adesso con il benestare della Asl, avendo scaricato l’ente tutta la responsabilità sugli infermieri e la loro buona fede, senza neppure prevedere un minimo controllo.