Eccolo qua il momento esatto in cui la notte tra il 4 e il 5 marzo del 2015, Domi Martimucci, soccorso dall’equipaggio del 118 di Gravina guidato dal dottor Francesco Papappicco, entra nel pronto soccorso dell’ospedale della Murgia. Un arrivo a cui nessuno sembra essere preparato. Il medico del 118, consapevole delle condizioni disperate del ragazzo, si dirige nella sala rossa attrezzata, ma la dottoressa Francesca Mangiatordi, che già sta prestando le cure alle altre vittime dell’attentato dinamitardo, invita la squadra del 118 ad entrare nella sala accanto, come denunciato dai due medici in passato poco più di un’infermeria assolutamente inadeguata a fronteggiare quella situazione.

I due medici, costretti a incatenarsi per rivendicare il proprio diritto alla denuncia, prima della tragedia alla sala giochi Green Table segnalarono ampiamente le lacune organizzative e strutturali dell’ospedale e del servizio di emergenza urgenza e per questo, approfittando di quella notte, solo cinque mesi dopo furono avviati nei loro confronti tre procedimenti disciplinari. Accusati di negligenze mai provate e di dubbia deontologia. Tutto chiuso con un’assoluzione per Papappicco e una censura scritta per la collega Mangiatordi.

Il video ci è stato fatto recapitare anonimamente in redazione. Ciò che sembra chiaro è il perché: sulla morte di Domi Martimucci pare non sia stato detto ancora tutto. Nonostante le denunce fatte dai due medici in catene, contenute nei documenti allegati alle loro controdeduzioni nel corso dei procedimenti disciplinari, non è stata mai aperta un’inchiesta interna dalla Asl di Bari per capire se ci siano state responsabilità quella notte. Noi non siamo specialisti e non possiamo emettere giudizi.

Come si può vedere la situazione è drammatica, seppure per ragioni di privacy siamo costretti a oscurare in parte il video. Il continuo andirivieni di medici e paramedici ospedalieri e del 118 dimostra come la struttura vada in difficoltà. Si percepisce  l’insufficienza di dotazioni e coordinamento. Tutto ciò mentre i carabinieri identificano le vittime e provano a recuperare elementi utili per quella che poi sarà l’inchiesta penale sui responsabili dell’attentato. Ci sono, però, almeno un paio di aspetti che colpiscono lo spettatore.

Nel video pare che il medico identificato come trauma leader nel procedimento disciplinare a carico della Mangiatordi, abbia dato poche chance di salvezza a Martimucci, un po’ come sul telefono registrato della centrale operativa aveva fatto prima di lui la collega dirigente della centrale operativa del 118, parlando con Papappicco. Entra ed esce ripetutamente  dalla sala rossa attrezzata dando indicazioni e sembrerebbe che nei 21 minuti di durata del video non intervenga direttamente. In alcuni momenti il paziente è seguito dal solo personale del 118. Si dirige spesso dagli altri due giovani feriti posizionati all’esterno della stessa sala. Per tutta la durata del video lo si vede solo un paio di volte andare nella direzione della sala dov’è stato dirottato Martimucci, il paziente più grave. Probabilmente è così che doveva andare, per questo i due medici avevano chiesto chiarezza, difendendosi in maniera puntigliosa dalle accuse mosse nei loro confronti.

Appunto l’altra sala, quella “sguarnita di presidi e attrezzature”, come denunciato dalla Mangiatordi mesi prim,  tant’è che infermieri dell’ospedale e personale del 118 si affannano in un gran viavai per recuperare attrezzature di emergenza di cui sarebbe dovuta essere dotata la cosiddetta sala rossa: monitor-defibrillatore, aspiratore ed erogatori d’ossigeno. Quella seconda sala, all’epoca dei fatti apparentemente inadeguata, è stata oggetto di lavori nei mesi successivi, guarda caso proprio dei miglioramenti richiesti dalla dottoressa Mangiatordi nelle sue denunce.

I tempi in questa storia sono essenziali. Perché non è stato accertato se Domi Martimucci si sarebbe potuto salvare nel caso l’intervento fosse stato più rapido? Proprio così, quella notte, il più grave dei pazienti è stato sottoposto alla tac 91 minuti, un’ora e mezza dopo, essere arrivato al pronto soccorso. Versava in condizioni critiche, ma per il trauma leader e per la dottoressa della centrale operativa del 118, non aveva molte chance, tanto da giudicare superflua la richiesta di un elicottero avanzata da Papappicco.

Domi Martimucci arrivò al Policlinico di Bari solo all’alba del 5 marzo, ore e ore dopo l’attentato e le gravissime ferite riportate, anche al cervello. Domi Martimucci ha lottato con tutte le sue forze, anche grazie al supporto dei familiari e di tanti amici, riuscendo a sopravvivere alcuni mesi prima di morire in una clinica specializzata in Austria. Il ragazzo si sarebbe potuto salvare? Avrebbe potuto avere qualche speranza in più di sopravvivenza se all’ospedale della Murgia non si fosse perso tutto quel tempo? Perché la tac è stata fatta così in ritardo? Le domande senza risposta restano tante. Ce n’è una, però, che inquieta più delle altre: perché non si è voluta fare chiarezza sulle eventuali negligenze nella gestione dei soccorsi di quella notte, qualora ve ne fe fossero state?

La vicenda dei due medici-sindacalisti “in catene”, divenuti bersaglio di procedimenti disciplinari da parte del direttore generale della Asl e vittime di un presunto complotto in cui sono emersi numerosi particolari, grida ancora giustizia. Ha qualche responsabilità il primario del pronto soccorso dell’ospedale della Murgia e ancora direttore ad interim del 118 barese Antonio Dibello, principale accusatore dei due medici e dimissionario ad agosto scorso? Il 3 agosto, infatti, proprio il giorno in cui Mangiatordi e Papappicco diedero inizio alla clamorosa protesta, venne poi ricollocato in servizio. Una mezza dozzina di medici di quel pronto soccorso, poi, avevano firmato una lettera di dissenso nei confronti della Mangiatordi, costretta a trasferirsi a Cremona per sfruttare al meglio titoli e competenze di medico in prima linea.

Papappicco consegnò al collegio arbitrale della Regione cui era stato deferito, il suo memoriale sugli accadimenti della notte dei soccorsi a Domi con tanto di firme testimoniali e riscontri documentali, che generarono lunghi silenzi e imbarazzi. Nonostante tutto, dicevamo, sulla faccenda non è mai stata aperta un’inchiesta interna. Seppure oggi potrebbe essere troppo tardi, per amore della verità ci piacerebbe sapere perché a tutte le persone coinvolte in questa assurda storia, chi di compenza abbia mai chiesto di fornire la propria versione dei fatti, al contrario di quanto fatto con Mangiatordi e Papappicco.

Non sappiamo se possano esserci altre prove documentali su come si siano svolti realmente i fatti quella notte. Le prove di cui siamo già entrati in possesso finora (non ci riferiamo al video in questione) sono rilevanti. Rivolgiamo il nostro appello ancora una volta al presidente della Regione Puglia e assessore alla Sanità, Michele Emiliano. A Papapicco il governatore promise che “se qualcuno avesse sbagliato avrebbe pagato”. Rivolgiamo il nostro appello anche al direttore generale della Asl di Bari, Vito Montanaro: fate definitivamente chiarezza e date risposte.