Caradosso non c’è più. Lo storico palazzo del centro di Milano, dove è nata l’idea stessa di Croce Rossa Italiana, non appartiene più all’associazione di volontariato più grande d’Italia. È stato venduto, come effetto del piano di riordino generato dal Governo Monti ed eseguito a puntino dalla coppia Rocca–Ronzi per la cifra alquanto modesta di otto milioni di euro.

Pronto, con questa boccata d’ossigeno, a chiudere un po’ dei buchi che lui stesso, anche con il suo lauto compenso e la forsennata opposizione alle legittime richieste dei lavoratori che hanno ottenuto quanto loro dovuto per via giudiziale, aveva rilevato dall’Ente il nuovo segretario generale, dagli amici soprannominato “er pagnottella” si è dovuto arrestare di fronte alle proteste ed alle rivendicazioni del Presidente della Croce Rossa lombarda.

Antonio Arosio, forte della sua recente elezione sacramentata da ben 41 voti, non vuole girare l’assegno appena incassato a via Toscana per una ragione di diritto. L’immobile di via Caradosso non sarebbe di proprietà dell’Ente nazionale ma risulterebbe frutto di una donazione modale eseguita ben due secoli or sono direttamente alla Croce Rossa di Milano.

Da qui la richiesta di Arosio per poter avere almeno una buona fetta di quei denari per risolvere, anche lui, i problemi economici del suo Comitato. Ma le beghe di natura finanziaria non finiscono qui. Se erano in forse i pagamenti delle retribuzioni di luglio per mancanza di fondi, quelli della rata stipendiale successiva non ci sono proprio per un calcolo erroneo delle presenze sul posto di lavoro.

Infatti una buona parte dei dipendenti in mobilità il primo luglio scorso si doveva già trovare saldamente ricollocato nei nuovi posti cosi come si erano resi disponibili ma questo trasferimento, l’esodo epocale dei dipendenti assimilati al bestiame transumante di dannunziana memoria, non è avvenuto e pare sia stato ulteriormente rinviato a settembre o a novembre.

Nel calcolo dei fabbisogni di cassa questo particolare era sfuggito. Tutto a modino e tutto a posto comunque; i soldi per pagare i dipendenti non ci sono ma per creare le nuove figure dirigenziali si troveranno, anche grazie al sudore dei volontari, che continuano, come voi che ci leggete, a chiamarla “privatizzazione”.