Tutto si può dire tranne che la nuova telecardiologia pubblica non sia stata fatta nel solco delle migiori tradizioni tramantate dalla Carlona: nessun brevetto, niente autorizzazione del Ministero della Salute per la piattaforma Helis, denunce in Procura, lamentele arrivate da illustri rappresentati del mondo politico e medico. A cinquanta giorni dall’avvio del servizio ci sono ancora medici del 118 che chiamano la centrale del vecchio gestore per chiedere lumi sul da farsi.

Telefonano al privato che ha gestito la telecardiologia per 11 anni, perché tra i numeri utili da chiamare nel caso di guasto o anomalie a qualcuno è stato dato un pre stampato con la sequenza XXX al posto di un regolare numero di telefono. Si scopre che per due volte nello stesso giorno, in una postazione del foggiano, un medico ha avuto lo stesso problema al momento della refertazione dell’elettrocardiogramma. Dopo 12 minuti all’operatore sanitario, evidente non formato a dovere, il tablet manda un messaggio innequivocabile: “Impossibile recuperare il referto”.

È lo stesso medico del 118 a confermare di non avere il numero della Control room e di essere stato costretto a districarsi con lo stesso problema in mattinata. Peccato che questi casi, come i tanti altri di cui siamo riusciti a venire a conoscenza, rovinino la media dei 7 minuti dal primo contatto medico alla refertazione, annunciata dal direttore generale del Policlininico, Vitangelo Dattoli. Ci viene il dubbio sul fatto che la comunità scientifica europea – com’è stato detto in più occasioni all’opinione pubblica – possa aver identificato l’attuale telecardiologia pugliese come un’eccellenza.

Aspettiamo ormai da settimane un comunicato di smentita dal responsabile dell’Ufficio stampa del Policlinico ed ex responsabile della Telemedicina dello stesso ospedale di cui è anche radiologo, contemporaneamente amministratore di fatto della Doctor Srl e conduttore dell’omonima trasmissione medica in onda su Telenorba, Daniele Amoruso, lo stesso sorpreso a dire che: “Nel pubblico si può spendere di più e fare un po’ meno bene”.