Né carne né pesce. Lo strano animale partorito dal decreto 178 sul riordino della Croce Rossa Italiana piace sempre meno a tutti, volontari compresi. Rischia di generare inefficienze e diseconomie al punto di accelerare la decomposizione della stessa associazione. Il futuro di Croce Rossa Italiana sarà una associazione nazionale composta da una parte pubblica, il Comitato Centrale ed i Comitati regionali, nella quale si innesteranno anche i due Corpi ausiliari volontari, quello dei Militari e quello delle Infermiere.

Non sotto come tutti credono, ma di fianco e ben distinta, esisterà una struttura privata e privatistica composta dai Comitati Provinciali e Locali, che avrà il compito di svolgere attività sul territorio, interfacciarsi con i volontari e compiere tutte iniziative necessarie a sostenere il proselitismo e la contribuzione volontaria dei cittadini all’Ente. Da una parte il famoso poltronificio denominato “Ente strumentale” al quale la legge assegna il compito di “valorizzare” il patrimonio di Cri e monetizzarlo. Come potrà una struttura associativa di diritto privato pendere ordini da un ente pubblico conservando la propria autonomia è un bizantinismo giuridico nel quale non crede ormai più nessuno?

La configurazione privatistica della Cri periferica ha fatto comodo agli ultimi malfattori presi con le mani nella marmellata.. Parliamo dei dirigenti locali di Croce Rossa che si sono visti affibbiare pene quasi irrisorie per le varie appropriazioni e gli ammanchi di cassa recentemente all’ordine del giorno. Fossero stati dipendenti pubblici probabilmente le pene sarebbero state maggiori.

Ma c’è un altro problema. La recente ondata di moralizzazione che sta investendo tutta la Pubblica Amministrazione ha tentato di arginare con il meccanismo definito “inconferibilità” e cioè l’opportunità politica e giuridica di occupare o meno determinate posizioni di vertice nella gerarchia associativa. Ci si dimentica spesso che la parte regionale e nazionale di Cri è comunque, riordino a parte, sempre un Ente Pubblico e si nominano (facciamo quest’esempio perché è il nostro lavoro non perché ce la possiamo avere con qualcuno in particolare) soggetti nei posti di vertice della comunicazione regionale e nazionale che non risultano essere iscritti all’Ordine dei Giornalisti. Questo accade in quasi tutti i Comitati Regionali ed in posizioni di vertice del Comitato Centrale ed è un atto che viene perpetrato in spregio alla Legge 150/2000 che sancisce appunto come gli addetti alla comunicazione degli Enti pubblici debbano essere giornalisti. Giornalisti e basta, punendo il caso contrario.

Le irregolarità, comunicazione a parte, sono moltissime, e passano ad esempio per la nomina di volontari dipendenti pubblici e funzionari pubblici quali vertici di determinati settori come, sempre a titolo esemplificativo, quello delle emergenze o quelli sanitari. Anche lì in contrasto con l’ordinamento dei pubblici dipendenti che, senza nessun riguardo per l’esistenza o meno di una specifica retribuzione, devono fedeltà alla propria amministrazione di provenienza. Spesso queste attività dirigenziali di carattere volontaristico sono svolte da vertici che una volta riposta nell’armadio la tuta rossa, rientrando in ufficio, dovrebbero o potrebbero dover trattare, in ossequio al loro principale dovere, il controllo proprio sugli atti posti in essere dall’Ente Pubblico Croce Rossa Italiana. Moltissimi poi i militari in servizio attivo e gli agenti e funzionari di Polizia che hanno incarichi di vertice, sia pure elettivi, ad ogni livello, in palese contrasto con la normativa dei loro rispettivi Enti di provenienza, i quali dovrebbero rilasciare un apposito nulla osta che naturalmente per ragioni legali non rilasciano mai, e che oltre alle citate ragioni di inconferibilità essendo impiegati nei loro Enti di provenienza, nel caso di attivazione quali strutture operative di Protezione Civile, creerebbero non pochi problemi di interruzione di catena di comando ed erroneo computo delle forze disponibili.

Insomma una vera e propria babele di interessi ed altri impicci che nessuno si perita di andare a dipanare per non andare a dissodare le zolle in quelli che una volta erano definiti orticelli privati ed ora si sono trasformati in cimiteri delle buone pratiche, tutto a discapito della credibilità e della efficienza di una macchina che dovrebbe procedere spedita e senza sussulti. Questo è uno dei tanti effetti di quella che qualcuno, anche a Palazzo Chigi, ancora si ostina a definire soltanto “privatizzazione”.