L’aria che si respira all’interno e all’esterno, dall’altra parte della rete che divide il Campo allestito in fretta e furia dalla Croce Rossa Italiana alle spalle della stazione Tiburtina, è pesantissima. Fervono i preparativi di una festa, quella di ferragosto a base di cibo etnico, che non sarà festa per tutti. Bocche cucite quando ci vedono arrivare con la copia del quotidiano Libero in mano, l’unico giornale che ha denunciato il fattaccio dell’altra notte. Tre militari, tute lucertola che li distinguono dai volontari in tuta rossa, con un unica consegna. “Non se la prenda dottò”, ci dicono all’ingresso dell’installazione, “non faccia riprese e foto, qui non potete entrare, non facciamo entrare i giornalisti altrimenti dobbiamo chiamare la volante”. 

Sarà la stessa pattuglia che è intervenuta l’altra notte a sventare il tentato stupro? L’articolo dei colleghi di Libero è breve, sintetico ma agghiacciante. Notte fonda o mattina presto non importa, urla all’interno del campo dove tra due ospiti si sta consumando un tentativo di violenza carnale. Il responsabile del campo allerta il 113 e giunta sul posto la volante, l’equipaggio in blu si scontra con l’equipaggio in rosso. Pare, e sono solo voci, che la consegna sia stata di non far identificare né l’aggressore né l’aggredita, allo scopo di non farli trattenere dalla giustizia italiana per anni e consentire loro di espatriare fin dove volevano arrivare quando sono partiti dal continente nero.

Alla domanda se sapessero che in fondo quello che si è consumato, stupro a parte, è il favoreggiamento di un delitto odioso come la violenza sulle donne, nessuno risponde e veniamo allontanati definitivamente, con educazione certo, nonostante avessimo lasciato in auto gli attrezzi del mestiere. Da quello che siamo riusciti a intuire, l’ordine di mettere un tappo su tutta la vicenda pare sia arrivato dall’alto, forse dallo stesso Ronzi, che sgomita per i diritti gender ma che vuole gettare la storia della violenza contro una rifugiata qualsiasi sotto il tappeto.

Tutta la storia sembra assurda, ma è incredibile come lo è spesso la realtà delle cose, e ci ricorda molto il caso dei caschi blu olandesi in missione di peacekeeping. Forse chi ha allontanato il delinquente dal campo, lasciandolo libero di girare per Roma con i suoi blue jeans e la maglietta rossa, non sapeva che sarebbe stato processato per direttissima e che tra una settima al massimo tutto si sarebbe risolto, la ragazza sarebbe stata libera di andare dove voleva e questo tizio sarebbe stato rimpatriato a forza con una condanna sulle spalle.

Ci sono ordini che, se pur impartiti, non devono essere eseguiti, questo i generosissimi ragazzi che da due mesi passano notte e giorno in un disastratissimo campo, mettendo il cuore prima di ogni ragione, non lo sanno. Ci sono momenti in cui le responsabilità sono personali, nei quali bisogna fare i conti prima con la propria coscienza e poi con le leggi di questo Stato e solo dopo eseguire un ordine purché sia legittimo e legittimamente impartito.

Bisognerebbe fare una bella intervista alla ragazza che l’altra notte ha conosciuto il volto buio di un’Italia senza giustizia ma, scusateci, sono tutte uguali qui al campo della Stazione Tiburtina, e la consegna inviolabile per i volontari della Croce Rossa è proteggerle dai giornalisti, non dagli stupratori. Da Roma di più non possiamo fare, voi continuate a chiamarla, se volete, privatizzazione.