Con i Nu Genea ci eravamo già incrociati in tempi meno sospetti quando il loro nome era ancora Nu Guinea, “Nuova Napoli” e poi ancora il progetto Napoli Segreta. Ci siamo visti nuovamente la passata estate, durante il loro tour folgorante di “Bar Mediterraneo”, un successo che ha visto la band napoletana imporsi sul mercato discografico internazionale. I Nu Genea sono diventati ormai un fenomeno, così come il loro suono ed il loro “linguaggio”. Non solo i portabandiera di una musicalità che vuole consacrare la napoli dei settanta ottanta, intrecciata con il jazz, il funk, il clubbing e la musica africana. Non ci sono limiti all’ispirazione, alle contaminazioni, tutto viene spontaneo e ogni nuovo ascolto si trasforma in una nuova idea, ed in questo bisogna ammetterlo sono stati molto bravi. Il “fenomeno” non smette di crescere e siamo tutti in attesa del prossimo disco. Nel back stage del Demodè Club abbiamo fatto due chiacchiere con Lucio Aquilina che insieme a Massimo Di Lena fanno, appunto, i Nu Genea.
Ci eravamo incontrati in occasione del primo disco, da allora sono cambiate tante cose, ma mi sembra che non sia cambiata quella spontaneità iniziale anche se, dopo l’incontro della scorsa estate, al Locus, mi siete sembrati ancora stupiti del successo internazionale che ha avuto il nuovo disco “Bar Mediterraneo”. Come avete vissuto questo passaggio importante?
Questo stupore ci è rimasto ancora, ma spero ci resti per tutta la nostra carriera, perché smettere di stupirsi significa che dai qualcosa per scontato e poi cade tutto il castello. È stata una crescita abbastanza lenta, piccoli passi, ed ogni volta ci fa sorridere perché questo è un progetto dove non puntiamo molto sulla comunicazione, sulle classiche sponsorizzazioni, è un progetto che si è diffuso per il passaparola, ad oggi io non ho ancora capito bene e stiamo indagando (nrd ride) per capire come mai abbiamo raggiunto numeri così elevati e importanti, ma ovviamente mi fa piacere. Come lo abbiamo affrontato poi è una bella domanda a cui non so rispondere esattamente, perché noi andiamo per la nostra strada se poi le cose accadono siamo contenti ma non c’è stato un nostro sforzo per raggiungere il successo e quindi da qui lo stupore, che si palesa ad ogni concerto che facciamo, lo stupore che ci fa capire che stiamo facendo bene. Noi siamo più o meno sempre gli stessi, non siamo cambiati.
Sul suono dei Nu Genea si è parlato tanto, Napoli, la ricerca dei vinili, tanto ascolto e scoperta sonora, l’Africa, tante fonti di ispirazione insomma che però hanno guardato soprattutto al passato, ma nel futuro della band cosa c’è?
Nel futuro c’è sempre il passato perché fa parte del nostro processo di scoperta musicale e sicuramente fonte di ispirazione e su questo io e Massimo siamo della stessa idea, è una cosa che arriva se sei pronto ad accoglierla e soprattutto se hai ascoltato tante cose del passato che spesso aiutano anche a “tizzare” questa ispirazione, perché se non hai stimoli è difficile che ti venga un’idea. Invece per noi è la fase che continua ad essere fondamentale nella nostra vita, cioè ascoltare più musica possibile scoprire nuove cose anche artisti minori per esempio, noi siamo specializzati in artisti minori, quei connubi che sono nati per esempio da quel chitarrista sconosciuto che però ha provato quella cosa particolare e così parte tutto, la scoperta è fondamentale.
Sicuramente oltre al passato effettivamente siete molto attenti anche a quello che vi accade intorno, è bello prendere ispirazione da tutte queste cose. Invece parlando del linguaggio dei Nu Genea, anche qui una mescolanza di suoni e nazionalità, il napoletano che si intreccia con l’africano ed il francese tanto da non distinguere più la differenza, potremmo persino dire che avete coniato “una nuova lingua, una lingua alla Nu Genea”
Si questo è il bello del napoletano (nrd ride) che è abbastanza duttile tanto da far sembrare un brano del Ghana come può essere “Tienatè”, che ha un tipo di flow particolare, da alcuni è visto come brano brasiliano altri ci vedono il centro Africa, alcune melodie o alcuni modi di cantare, come “Marechià” che è francese napoletano ma non te ne accorgi quando si passa da una lingua all’altra, ma perché il francese è nel napoletano, senza entrare nel merito o nella diatriba, alcuni la chiamano lingua, altri dialetto, per noi è ispirante perché si può giocare con le lingue ed i suoni, prendere qua e là ed avere un suono nostro che non è riconducibile ne là e ne qua.
A questo punto la conditio sine qua non è essere napoletani, cioè l’appartenenza è alla base del progetto, se voi non foste napoletani allora il progetto non esisterebbe
Beh effettivamente, noi abbiamo avuto una grande fortuna che non tutti hanno perché abbiamo un patrimonio culturale importante, è chiaro che bisogna valorizzarlo, noi portiamo avanti la nostra cultura e cercare di mescolarla con altre. Di base partiamo con un bagaglio che non è farina del nostro sacco ma abbiamo avuto la fortuna di ereditarla e vogliano promuoverla il più possibile per chi non la conoscesse, soprattutto all’estero per esempio e questo ci fa molto piacere.
Il vostro rapporto con la Puglia? Siete venuti qui spesso e avete un pubblico enorme che vi segue da sempre
Si la Puglia è una delle regioni più calde, si dai primi concerti di Nuova Napoli c’è stato un riscontro importante, ricordo ad Ostuni per esempio non ci aspettavamo questa calca c’era gente anche oltre le transenne che stava li fuori ad urlare, è stato incredibile, ma anche la data all’Anchecinema o le due al Locus sono state incredibili. La Puglia è speciale, c’è anche un feeling particolare, una vicinanza o “cugginanza” no? Voi fate la burrata noi facciamo la mozzarella, quando facciamo noi la burrata ci criticate quando fate voi la mozzarella vi critichiamo noi, però ci vogliamo bene!!