Daniela Dana Tedeschi, Presidente dell’Associazione I Figli della Shoah: “Il male esiste e resiste, l’Educazione alla Shoah è il mezzo attraverso il quale condurre ogni singolo individuo alle proprie responsabilità verso l’altro.”

In una lunga intervista svoltasi in modalità remota l’11 gennaio scorso, Daniela Dana Tedeschi ci racconta il lavoro che l’Associazione “I Figli della Shoah”, nata nel 1998 grazie all’iniziativa di alcuni sopravvissuti e dai loro familiari, conduce sia nel campo della sensibilizzazione e memoria ma soprattutto nel settore della Didattica e formazione. L’Associazione ha contribuito, fin dalla sua fondazione, alla campagna per l’approvazione della Legge che ha sancito la data annuale commemorativa del Giorno della memoria a partire dal 27 gennaio 2001. Presidente onoraria è la Senatrice Liliana Segre. Grazie alle sue iniziative nazionali rivolte al pubblico e al mondo della scuola, l’Associazione ha ricevuto importanti riconoscimenti dalla Presidenza della Repubblica Italiana e da molti enti istituzionali. Tra le altre cose è anche socio fondatore del Museo della Shoah di Roma e della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano.

Daniela Dana, limpida ed elegante, nella sua immagine da esperta educatrice, ci introduce, seppur a distanza in un mondo fatto ancora oggi di pregiudizio culturale ed a volte, antisemitismo dichiarato. Ci illustra in modo chiaro ed onesto le fasi con le quali insegnare e sensibilizzare alla Shoah affinché la memoria non si perda nel mortale scorrere del tempo. Ci chiarisce l’importanza che l’olocausto ha rappresentato nella storia dell’umanità e per quale motivo può, anzi, deve essere considerato un unicum. Ci conduce in una storia, quella ebraica, ancora oggi poco conosciuta ma allo stesso tempo, strumentalizzata, ricostruendone i passaggi fondamentali con l’immediatezza della memoria fotografica. Le immagini che fuoriescono dalla sue parole, sono vive, attuali e di intenso valore socio-culturale.

Quali sono le linee guida che utilizzate nei vostri percorsi formativi e di sensibilizzazione?
“Le nostre attività sono di due tipi: la prima rivolta alla sensibilizzazione e alla memoria dell’opinione pubblica soprattutto dei giovani, la seconda indirizzata proprio alla formazione e all’educazione alla Shoah soprattutto rivolta ai docenti e agli Istituti Scolastici in genere. Il principio fondamentale al quale l’Associazione si ispira è che l’approccio di vicinanza alla Shoah deve essere di tipo graduale, sia conoscitivo che emozionale, così come la Shoah non è accaduta in un giorno, così come Auschwitz è la fine della storia e non l’inizio, è giusto raccontare la storia dal principio, soprattutto con i bambini più piccoli, partendo dal 1938 al 1943, cioè dalla negazione dei diritti civili. Questa metodologia è importante perché i bambini, soprattutto i più piccoli, devono avere un’ancora di salvezza, per cui noi raccontiamo loro, storie di salvati, di famiglie nascoste e sopravvissute, circoscrivendo il contesto in modo tale che possano identificarsi senza restarne traumatizzati. Non siamo molto d’accordo con le storie a fumetti che raccontano la deportazione, una su tutte “Liliana e la sua stellina” perché la storia di Liliana Segre affronta la deportazione, e la perdita di tutta la sua famiglia. È vero che è sopravvissuta ma noi non la raccontiamo ai bambini in età elementare perché la consideriamo troppo dura da interiorizzare. Cerchiamo invece di parlare delle storie di giusti, dei partigiani, storie di chi ha saputo reagire alla persecuzione, storie positive. Così come cerchiamo di spiegare loro cos’è l’ebraismo, quali sono gli usi e i costumi di questo popolo perché pensiamo che un approccio propedeutico alla conoscenza della Shoah sia quello di far conoscere chi sono i protagonisti di questa storia. Il nostro obiettivo nell’utilizzare questo tipo di approccio è che l’inserimento alla Shoah deve diventare passo passo uno strumento per conoscere la storia ma anche per vivere meglio il presente. Questo approccio tranquillizza gli educatori, perché fa si che non si sentano portatori di verità scomode, e prepara alla conoscenza della fine, ovvero della morte e della persecuzione vera e propria che noi consigliamo dall’età della scuola di I grado. L’inizio è fondamentale per poter arrivare a capire Auschwitz, perché se non ci fossero state le leggi razziali del 1938, non sarebbe esistito lo sterminio. Come comincia un genocidio? Dal pregiudizio, dall’intolleranza, dal linguaggio dell’odio. Tutti messaggi molto importanti per la nostra società odierna che vive di integrazione. Parlare di Shoah è questo: raccordare il passato al presente.

Cosa significa nascere ebreo oggi? Cosa è cambiato rispetto al passato? Quali sono i pregiudizi che resistono nei confronti del popolo ebraico?
“Nascere ebreo dovrebbe essere una condizione del tutto naturale e pochi sanno che la religione ebraica ammette di avere prima una nazionalità rispetto al Paese dove si nasce e poi, in secondo luogo essere ebrei. Per molti gli ebrei sono considerati altro da sé. Facendo però un dovuto passo indietro, dobbiamo ricordare che l’antisemitismo nasce come antigiudaismo, nasce cioè 2000 anni fa a causa dell’accusa di deicidio che ha poi segnato tutta la storia, con persecuzioni e ghettizzazioni, quindi l’ebraismo è sempre stato considerato altro da sé, pericoloso, un capro espiatorio. Questa cosa purtroppo è rimasta, malgrado il Vaticano nel 1963 abbia ufficialmente assolto il popolo ebraico, il retaggio culturale permane, e la si rintraccia anche in chi non conosce personalmente gli ebrei, noi la definiamo spesso quasi come una passione antisemita, è un comportamento emotivo che non segue un ragionamento, così come è il pregiudizio. I pregiudizi che ci sono oggi verso gli ebrei sono gli stessi che c’erano 2000 anni fa, ovvero quelli di essere ricchi, di avere il controllo del mondo. Per ogni pregiudizio ci sono delle risposte che si possono dare. Per esempio per quanto riguarda il rapporto degli ebrei con il denaro, si ha la sbagliata percezione che tutti gli ebrei siano banchieri, cosa assolutamente non vera, ma il motivo è che, dal medioevo vigeva un divieto per il popolo ebraico, essendo deicida, di possedere della terra, l’unica cosa che potevano fare era vendere stracci o prestare denaro ad usura (un’attività non consentita al buon cristiano). Un altro pregiudizio, in questo caso in positivo che ha generato però la stessa diversità è quello di considerare gli ebrei più intelligenti degli altri. Altra cosa non vera ma spiegabile, perché ogni pregiudizio ha sempre una qualche ragione d’essere, una base di verità che poi viene manipolata. Nell’ebraismo, infatti, il rapporto con lo studio è sempre stato considerato molto importante, i genitori hanno sempre insegnato ai propri figli a leggere i testi sacri sin dall’età di 5/6 anni. Quindi in un mondo in cui l’analfabetismo era la norma, il popolo ebraico si distingueva perché sapeva leggere, questo addirittura prima del medioevo. Quindi è vero che c’è un rapporto particolare con lo studio nella comunità ebraica, ma non è dovuto ad una genetica diversa, ma si deve solo ad una tradizione, ad un precetto culturale. Si nasce tutti uguali poi è l’educazione che ci rende eventualmente diversi. Quindi i pregiudizi nascono da dei motivi storici che poi nel tempo si fossilizzano, si generalizzano fino a sembrare che nascano con la persona stessa, quando non è così.”

Perché l’antisemitismo oggi è così frequente tra i giovani, che utilizzano soprattutto i social per veicolare i propri messaggi d’odio?
“L’antisemitismo vive con la presenza ebraica, esisterà sempre fintanto che esisterà il popolo ebraico. C’è da dire che oggi l’antisemitismo si è arricchito anche di un altro fenomeno negativo, che è l’antisionismo, ovvero l’avversione verso lo Stato di Israele, verso la politica di questa Nazione che è in realtà un problema molto complesso ma che spesso si traduce in un odio indiscriminato. Io credo che sia un fenomeno trasversale che non interessa solo i giovani, sicuramente i ragazzi avendo più dimestichezza con i social e più libertà nel fare graffiti per strada sono i più esposti. L’antisemitismo è una malattia, che molto spesso non ha fondamento perché la gran parte di queste persone antisemite non ha mai conosciuto un ebreo. L’antisemitismo da stadio, quello da tastiera si fonda sugli stessi pregiudizi di cui ho parlato senza un riscontro nella realtà. Uno di questi, il più comune è che gli ebrei siano tantissimi, in realtà la comunità ebraica italiana, su una popolazione di 60 milioni di italiani, non arriva a 35mila persone. La percezione che invece spesso si ha è che la minoranza ebraica sia molto numerosa. Viene ingigantita la presenza così come viene enfatizzato il pregiudizio. Siamo una comunità molto composita, ci sono sia ricchi che poveri, sia intelligenti che stupidi, che in ogni caso si identifica sempre nella nazionalità del Paese dove vive. Tornando alla domanda, perché i giovani, le rispondo perché non siamo abituati alla complessità, la complessità dell’ebraismo, di una comunità così antica è di difficile assimilazione e la semplificazione che offre la rete, ha acutizzato la sua espansione.”

Come si lega l’antisemitismo al razzismo in genere? In Italia ravvede una tensione culturale razzista in espansione? Perché i profughi ucraini che fuggono dalla guerra sono accolti favorevolmente mentre i migranti no?
“Gli ucraini sono bianchi. I migranti sono neri. L’identificazione che sta alla base dell’accoglienza è più facile, sempre per quel sentimento dell’altro da sé. Se ci fosse stato un barcone di bianchi che scappano dalla Libia, avremmo tutt’altro approccio. La politica fascista razzista era accompagnata alla politica antisemita, ma il nostro è un retaggio anche più antico che deriva dalle colonizzazioni, dalle guerre coloniali che ci hanno impresso l’idea del diverso. E’ per questo che torno a monte e torno a dire che per i bambini se dobbiamo pensare ad un’educazione alla shoah dobbiamo pensare ad un’educazione all’integrazione, che educhi alla condivisione e smantelli il sentimento del diverso, perché la Shoah si tratta anche di questo, il progetto dello sterminio si fonda sull’idea della purezza biologica, si basava su un humus già ricco di pregiudizi millenari che ben si sono legati alla visione nazista.”

Edith Bruck, in una sua recente apparizione, durante la presentazione del suo ultimo libro “Sono Francesco” ha espresso la sua preoccupazione per una recrudescenza fascista e razzista, legata all’ascesa al potere della Destra in varie parti d’Europa, compresa l’Italia. E’ un sentimento condivisibile?
“Sia Edith Bruck che Liliana Segre, avendo vissuto la Shoah vedono con ancora più preoccupazione questa recrudescenza, che però, secondo noi ha delle fasi, ha delle ondate. C’è un fenomeno di intolleranza in generale nella nostra società, di violenza e di sopraffazione, di mancanza di dialogo e di difficoltà alla comprensione, tutti fenomeni amplificati dalla nostra modalità di comunicazione, ovvero dalla rete che semplifica, appiattisce e tende a rendere semplice una realtà che al contrario è complessa, stratificata, dove non c’è il bianco e il nero, ed è questo che dobbiamo insegnare ai ragazzi, non c’è una verità assoluta, il dubbio ci deve sempre accompagnare. Il fenomeno c’è, l’antisemitismo è un fenomeno del razzismo, rientra nella grande famiglia dell’intolleranza verso l’altro, che è un controsenso perché le nostre società saranno sempre più interculturali, ma è un sentimento comprensibile perché il diverso spaventa, non è da condannare, chiunque di noi ha paura di chi non è uguale a noi. Lo sforzo qual è? Andare oltre, attraverso l’educazione. Non è una missione facile, la rete non aiuta, c’è una quantità incontrollabile di fake news, non c’è alcun modo di fermare questo se non la conoscenza, l’educazione a partire dai più piccoli. Perché la conoscenza fa sì che il pregiudizio cada da solo. Per questo noi agiamo per formare gli educatori, che a loro volta educhino i ragazzi perché il problema non sono mai i giovani, ma gli adulti che non si vogliono prendere le proprie responsabilità. Chiunque voglia sopraffare l’altro o ha subito la stessa violenza oppure non ha gli strumenti di cambiare la propria realtà, e il nostro compito, quello di noi adulti è quello di fornire loro i mezzi giusti.”

Data la sua esperienza e conoscenza, cosa differenzia la Shoah dalle altre numerose persecuzioni razziali e/o di altre minoranze nel mondo?
“Purtroppo la tendenza a dominare l’altro con l’obiettivo di pulizia etnica, c’è e c’è sempre stato in varie parti del mondo, l’unica differenza è che l’Olocausto ha un retaggio antico, millenario ed ha un’origine ideologica, non politica. La Shoah nasce non come un problema di territorialità, come invece accade o è accaduto per altri eccidi, ma la sua diversità che non rappresenta una differenza di importanza, ha una genesi nell’antigiudaismo millenario che permane ancora oggi, è un odio antico che rimane perché rimane l’oggetto di questo odio, che è l’ebreo stesso. Non solo, mentre in altri conflitti, si arriva poi ad una rappacificazione, la Shoah è trasversale, c’è ovunque ci sia un ebreo. Il male esiste e resiste, l’educazione alla Shoah è quello di portare il singolo verso la propria responsabilità nei confronti dell’altro”

L’ultima domanda riguarda il conflitto israelo-palestinese, perché è così evidente la difficoltà di convenire ad una soluzione in quella terra martoriata da decenni? Moni Ovadia, scrittore che si autodefinisce ebreo antisionista, ha dichiarato esserci da parte della comunità internazionale, compresa quella ebraica un “gigantesco senso di colpa omertoso” che contribuisce ad acuire l’ indifferenza generale. Tutto questo produce, come ha già detto lei un aumento dell’antisemitismo, divenuto antisionismo. Cosa ne pensa?
“Anche su questo tema è necessario far chiarezza perché molto spesso manca la conoscenza alla base. Quello che pochi sanno è che molto prima della Shoah in Palestina convivevano già comunità ebraiche ed arabe, con problemi oggettivi di differenze etniche, semplicemente perché Gerusalemme era considerata, come lo è tuttora, luogo sacro di diverse religioni. Quindi il sionismo che altro non è che quel sentimento di autodeterminazione del popolo ebraico molto simile agli altri movimenti di autodeterminazione europei conclusosi alla fine dell’800 con la creazione degli Stati Nazionali, aveva molto prima del nazismo avviato la sua concretizzazione con le migrazioni di molte ebrei verso Sion, per la creazione dello Stato ebraico. In realtà Israele è nato nonostante la Shoah non grazie alla Shoah, perché i fondatori dello Stato di Israele contavano sulle migrazioni delle varie comunità ebraiche europee, l’Olocausto ha distrutto per la gran parte il popolo ebraico europeo, il che metteva quasi a rischio la creazione dello Stato di Israele. Quindi lo Stato di Israele è nato molto prima della Shoah, invece la percezione che si ha è che sia stato costituito come riparazione allo sterminio nazista, creato a tavolino per ripagare gli ebrei sopravvissuti il male subito causando ai poveri palestinesi l’espropriazione della terra. La narrazione storica che se ne fa, quindi, è diversa. Il conflitto che ancora oggi perdura è un conflitto politico, molto complesso, molto di più di quello che leggiamo. Ci sono stati nel tempo molti errori da parte dei vari governi israeliani, ed è evidente una concreta intenzione da parte di entrambe le posizioni ad incancrenire la situazione: gli arabi tenendo ostaggio la popolazione palestinese nella striscia di Gaza e i governi israeliani mediante i vari assedi missilistici sui civili. La cosa che è importante è non paragonare quello che è stato a quello che è oggi.  Quello che è oggi è un grandissimo problema internazionale, che lo Stato di Israele non ha sempre gestito nel modo corretto, siamo sbalorditi e profondamente rattristati di assistere ai massacri dei palestinesi sotto i raid israeliani, e purtroppo la verità è che non abbiamo soluzioni, quello che noi cerchiamo di comunicare è che all’interno della comunità israeliana, ci sono numerose personalità che lavorano per la Pace, che Gerusalemme, contrariamente a quello che si dice non è una città di Apartheid, al contrario è un luogo di accoglienza. E’ una società multietnica con moltissimi problemi di integrazione, che devono essere denunciati con obiettività senza ricadere nuovamente nel pregiudizio. Così come Israele ha dei governanti che non aiutano ad arrivare ad una soluzione pacifica, altrettanto i palestinesi hanno dei leader arabi che fanno in modo di mantenere la popolazione rinchiusa nei campi profughi da anni. La ragione non sta mai da una parte sola.”

Intervista a cura di Adele Vella (Quotidiano Italiano)