A tu per tu con Annamaria Pazienza, la giovane scrittrice palese che ha dato alla luce il suo secondo libro: “Mi ridai un po’ di blu?”. Il testo è stato battezzato da una madrina d’eccezione, la casa editrice Eretica. Un inno all’amore che salva e distrugge, ma lascia una traccia profonda, una pennellata di blu.

Cosa rappresenta per te questo colore?
Il blu per me è la calma più totale, ma allo stesso tempo una forte dipendenza. La mia casa è invasa dal blu. L’ispirazione di questo libro proviene direttamente dallo studio che è stato effettuato su questo colore, un ambito scientifico talmente vasto e interessante. Tutto questo si è poi riflesso sulle vite delle persone che mi hanno attraversato, rubandomi l’inchiostro dalle mani. Così è nata la storia di Marco, diviso tra passato e presente, tra Andrea e Sarah.

Dall’immaginazione alla realtà su carta, trovare una casa editrice che pubblicasse il tuo testo era in progetto?
Questo piccolo lavoro è stato scritto in qualche mese, meno di un anno fa, ma ho presentato il manoscritto solo qualche tempo doma po. La spinta emotiva che mi serviva per compiere il grande passo è arrivata dall’illustratrice della copertina, Tania Tullo. In realtà non volevo presentarlo alle case editrici, ma adesso non potrei essere più felice e orgogliosa.

Studentessa di Lettere moderne e fotografa, come queste passioni hanno influenzato la tua scrittura?
In realtà la fotografia è essenziale per chi scrive. Nella testa al momento della stesura, si alternano i fotogrammi di ciò che si vuole imprimere con l’inchiosto, o almeno per me è così. Solo che da cultrice di fotografia, tendo ad essere leggermente pignola con le mie inquadrature immaginarie. Per quanto riguarda gli studi, sicuramente la letteratura, soprattutto quella del 900, influenza i miei lavori.

Come definiresti il tuo stile?
Non lo definisco in realtà. Questa volta però, rispetto agli “Occhi che non avrò”, ho cercato di raggiungere una leggerezza che mai avevo sperimentato prima. Tendo ad essere un po’ ermetica con i pensieri dei personaggi. Ho lasciato che a parlare fossero semplicemente i pensieri di Marco, così come sono, senza sovrastrutture.

Quale città fa da teatro a questa storia d’amore?
Nel libro, questa volta, ho spostato l’occhio su Bari e non più su Palo del Colle. Il passaggio alla città non è casuale. Quando si cresce ci si butta dalla culla, cio che è Palo del Colle per me, alla giungla. C’è però un elemento che mi lega al mio paese nel libro: due manichini presenti nel bistrot del laboratorio urbano Rigenera. La casa non si dimentica mai.