Ieratici e austeri, millenari ma moderni. Appaiono così i guerrieri di Xi’an, “fatti ad arte” da Sandro Chia, e che fino al 31 marzo invaderanno la Pinacoteca, instaurando un dialogo diretto con le più antiche opere del maestro Vivarini e di tutta la collezione permanente. Il Museo barese si cimenta ancora una volta nell’audace e mai facile sfida museografica di coniugare presente e passato; questa volta lo fa puntando su una figura dell’arte internazionale come Chia, esponente di quel movimento artistico consacrato dalla Biennale di Venezia del 1980 e che Achille Bonito Oliva battezzò come Transavanguardia, imponendosi tra i più influenti della svolta postmoderna.

Nato a Firenze nel 1946, l’arte di Sandro Chia è un inno ai valori del dipingere, un ritorno alla manualità che si esprime attraverso i colori della pittura e le forme della scultura, strizzando l’occhio agli stili del passato. La sua sete di conoscenza lo ha portato a viaggiare tra Asia ed Europa, stabilendosi definitivamente a New York, e mescolando nel suo atto creativo influenze provenienti da realtà diverse. Lo stesso sincretismo culturale diventa il messaggio dell’intera mostra, che si focalizza sugli antichi guerrieri in terracotta rinvenuti nel 1974 nella monumentale sepoltura dell’imperatore Qin Shi Huang, che li pose a guardia della sua tomba.

I nove esemplari esposti sono alcune delle copie che il Governo cinese ha fatto riprodurre fedelmente alle originali; Chia non si è limitato a farne un supporto pittorico su cui intervenire, ma restituisce alle sculture dei guerrieri quella libertà espressiva per cui è stato definito dal critico Enzo De Martino un “nomade” dell’arte. Sono le vivaci pennellate di colore distribuite come texture cromatiche che conferiscono ai guerrieri un respiro tutto nuovo e quel magnetismo che consentono di trovare nella contaminazione di linguaggi il mood di tutta la mostra.

Un connubio tra pittura e scultura, tra forma e colore, tra fotografia e pittura che si esplicita anche nella selezione delle opere esposte. L’eterogenea rassegna si completa infatti con un cavallo, sette piccole teste, sedici monotipi e dieci scatti sui quali l’artista è intervenuto apponendovi una traccia di colore, come se fosse la sua firma. Un dialogo tra Oriente e Occidente che trova il suo perfetto compimento in una mostra che non poteva avere location migliore se non Bari, crocevia di culture, religioni e civiltà.

La mostra, curata dalla direttrice della Pinacoteca Clara Gelao e dal critico Enzo Di Martino, sarà visitabile fino al 31 marzo 2018.

Via Spalato 19/ Lungomare Nazario Sauro 27
Info 080 541 2420- 2- 4- 6- 7
www.pinacotecabari.it 
Dal martedì al sabato 09.00- 19.00
domenica 09.00- 13.00
lunedì e festività infrasettimanali chiuso

La visita alla mostra è inclusa nel biglietto d’ingresso:
Intero 3 euro
Ridotto 0,50 euro