Pio Meledandri, Presidente dell’’Associazione Sviluppo Sostenibile di Bari, il 10 gennaio 2017, alle ore 18, presso Palazzo Narducci ( ex Poste Centrali) in Piazza Cesare Battisti a Bari, presenterà “SIGNA – Storie di Donne”. Una Mostra Fotografica di grande spessore e valore etico. 36 scatti narranti storie di donne, di diversa estrazione sociale, che in nome dell’amore, si lasciano violentare, abusare e maltrattare. Protagoniste e modelle d’eccezione 12 donne baresi, che hanno voluto “prestare” il loro volto prima e dopo la violenza, raccontandola attraverso le tonalità dell’azzurro, che da delicato e rassicurante qual è, può trasformarsi in un blu minaccioso e cupo.

Meledandri, è stato Fondatore e Direttore del Museo Universitario della Fotografia del Politecnico di Bari, Fondatore del Laboratorio Multimediale del Dipartimento di Architettura e Urbanistica e responsabile dei corsi di comunicazione audiovisiva di Storia dell’Arte e Storia dell’Architettura sempre presso il Politecnico di Bari. Nonché Videomaker di successo con all’attivo diversi cortometraggi.

Fotografie denuncia, che tra il reale (la violenza) e la simulazione artificiosa (la foto), svelano anche, secondo l’autore, quanta mistificazione possa esserci in uno scatto.

Oliviero Toscani, recentemente, ha dichiarato che la fotografia non rappresenta la realtà, ma è la realtà. ribadendo che non c’e’ niente di più vero di uno scatto. a fare la differenza, tra il vero e il falso, e’ l’interpretazione che di quella foto si fa. sei d’accordo?

Da tempo studio il rapporto “Realtà e Finzione” nella comunicazione visuale. E tanti sono gli artisti, che come me, sono interessati a lavorare alla rappresentazione dell’illusione e del sogno. Dai laboratori di James Casebere, a Paolo Ventura, a Luigi Ghirri, col suo “Paese dei Balocchi”, a Miles Coolidge, con le straordinarie città “in scala”. Quindi, l’artista decide di non rappresentare il “vero”, ma di esprimere ciò che l’Io vede intorno a sé. Per esempio Mario Cresci, tempo fa, disse che “Nulla è più mistificante della fotografia”. Io concordo con lui.

Dici spesso che l’immagine fotografica è il risultato di una predisposizione mentale al vero e che tutto e’ frutto di simulazioni costruite a tavolino. persino quelle dei concorsi da “World Press Photo”. È cosi’?

In molti casi è così. Il Regista, anche nel cinema “verità” del neorealismo, ricostruisce la scena. Persino l’uso della post-produzione è manipolata secondo l’espressione creativa dell’artista. In alcune foto di Olivo Barbieri, le facciate dei grattacieli di Boston, le strutture di Menphis o di Los Angeles o le miniature delle città viste dall’alto, appaiono soggetti di un mondo “finto”. L’artista lo dichiara e lo sottolinea, comunicando la sua analisi del Paesaggio. Quello che non va bene è spacciare per realtà colta “al volo” quella che, invece, è una ricostruzione scenica.

Questa tua onestissima affermazione, non credi possa disilludere quella parte di umanita’ che ancora crede di trovare negli scatti, tracce di realta’, scampoli di felicita’, sentimenti veri, certezze e speranze?

No, le “esistenze” ci sono tutte. “Poveri ma Belli”, non rappresenta uno spaccato della società romana di quegli anni? Certamente sì, ma l’operatore non era nascosto dietro l’angolo. Non si può spacciare una piccola orgia in auto per Street Photography, quando i soggetti sono parenti o amici del Fotografo. L’umanità guarda quello che vuole “vedere”, secondo la propria cultura e percezione.

Questi 36 scatti sono, come affermi, un onesto “falso” dichiarato. È una asserzione audace. dunque, non sbaglio se dico che sono la rappresentazione teatrale di un dramma che invece e’ reale (la violenza sulle donne fino al “femminicidio”) rispetto al quale ancora troppo poco si fa?

E’ proprio così. Prendi le grandi tragedie, hanno temi forti e stimolanti da insegnarci e soprattutto da condividere. E’ questo il messaggio.

credi che l’amore possa degenerare o più semplicemente si tratta di un “non” amore e che, alle nuove generazioni, se ne debba parlare, invece, solo in questi termini?

Si tratta di un non amore. Tuttavia, nella cultura dominante in molti casi la violenza viene giudicata come l’impeto folle di un amore non corrisposto. Una “degenerazione” della società contemporanea dell’eroe romantico che rivolgeva verso se stesso la violenza, arrivando al suicidio per un amore non corrisposto. Oggi tendiamo a scaricare sull’altro ogni responsabilità.

L’azzurro per rappresentare l’amore. Perché?

Corrisponde al colore con cui dipingiamo il cielo, il mare. Entità infinite, esattamente come l’amore. Per quello lo associo. Anche se poi nelle mie foto diventa cupo, in alcuni casi soffocante, ossessivo e angosciante.