Si definiscono marchette, in gergo teatrale, quelle prestazioni artistiche che con l’arte hanno poco a che vedere. L’assonanza con quelle più note, consumate nelle case di tolleranza o case chiuse, è evidente. La marchetta la fa l’artista che, pur rendendosi conto dell’impossibilità di rendere al proprio livello, per le cause più disparate, continua imperterrito a suonare, a recitare, a esibirsi in nome del “tengo famiglia” o, come nel caso di sabato sera, chi non lo mette in condizione di farsi ascoltare al meglio, ovvero l’organizzatore.

Il colpo d’occhio della Cattedrale, per chi arrivava puntuale alle 20.30 (orario annunciato), era imponente. La Cattedrale di San Sabino è straordinariamente bella nell’assoluta semplicità del Romanico pugliese. Posti a sedere nelle panche esauriti e già si doveva ricorrere alle sedie aggiuntive. Di programma di sala neanche l’ombra, come pure di qualcuno che li distribuisse, anche se qualche raro spettatore ne era in possesso.

Fatti gli auguri a Marco Renzi, nominato nella stessa giornata direttore artistico dell’Orchestra sinfonica della Città metropolitana barese per l’anno 2017, ma su questo torneremo a puntualizzare, perché non è seria una nomina di un anno, anche se rinnovabile, mi sono procurato una sedia di plastica tra quelle accatastate vicino all’ingresso.

Il freddo era semplicemente glaciale e un plauso va allo stoico pubblico barese, che non desisteva ed era lì, nonostante tutto. Si è dato subito inizio al concerto, preceduto da un annuncio. La violinista Annalisa Andriani, componente l’Orchestra, informava il pubblico che in funzione del freddo “imprevisto” la direzione artistica, di concerto con il direttore d’orchestra, aveva deciso di ridurre il programma tagliando il primo pezzo, la Serenata per archi n° 20 di Elgar e di dare immediatamente inizio all’esecuzione della Sinfonia n. 40 in sol min k550 di Mozart. Qualche applauso dalle ultime file e il concerto ha avuto inizio.

Che dirvi, gentili lettori: l’Orchestra cercava, a dispetto del freddo glaciale, di dare il massimo di sé e a momenti si coglieva la sua potenzialità, che è notevole, soprattutto quando guidata da un buon direttore. Credo che Boian Videnoff appartenga a questa categoria, ma posso solo compiere un atto di fede, visto che ero in Cattedrale, luogo sacro, perché in quelle condizioni è impossibile giudicare onestamente l’uomo sul podio. Podio si fa per dire, perché non c’era podio per il direttore, né per la solista e, tantomeno, una pedana per l’orchestra che, funzionando da piccola cassa armonica, avrebbe alleviato la sordità del luogo.

Nessuna sorveglianza in sala: cosa pericolosa in se, e considerando l’ingresso gratuito, davvero pericolosissima. Fortunatamente e fortuitamente nessun disturbatore, nessun ubriaco, come può capitare. Ma anche nessun poliziotto in divisa o uno straccio di vigile urbano. Il pubblico, che ha sentito poco o nulla, ha accolto la fine del pezzo con applausi, che definirei di cortesia. Nemmeno la voglia di scaldarsi le mani ha scosso più di tanto gli spettatori. Ci sta tutto, sentivano poco e male.

Preceduta da un blackout, è stata poi la volta della solista, la violinista Francesco Dego, esibitasi insieme all’Orchestra nel Concerto in re maggiore per violino e orchestra n. 77 di Brahms. Che dirvi? Dotata di tecnica notevolissima, la giovane violinista di Lecco  -che quel concerto, punto d’arrivo per molti violinisti di successo, ha affrontato la prima volta a 15 anni imponendosi all’attenzione del pubblico e della critica- ha potuto mostrare, appunto, solo quella tecnica.

Qualcuno ha parlato di virtuosismo e sonorità. Beh, il primo c’era ed era evidente, ma il suono era impercettibile e non certo per colpa sua. Soffrivo, durante l’esecuzione, perché avrei voluto sentirla davvero, lo meritava e faceva tenerezza il direttore durante la cadenza. In quel momento l’Orchestra tace e la solista suona da sola. Il direttore si congelava immobile e sudato. Stoico, come pure la violinista, l’Orchestra e finanche il pubblico.

Alla fine gli spettatori hanno educatamente applaudito, senza entusiasmo. Educati, forse troppo: in altre città avrebbero rumoreggiato per l’organizzazione, che definire carente è un eufemismo, oltre che un atto di clemenza. Va aggiunto che durante l’esecuzione dell’ultimo pezzo l’Orchestra “accoppava”, senza colpa né sua, né del direttore, la solista. Col suo suono, cioè, copriva quello della Dego. Ho appreso poi che, così come mi era parso, non era stata fatta neanche una prova di acustica in Cattedrale prima del concerto. Tra una messa e l’altra, non c’era tempo.

Il pubblico non va trattato così. Merita rispetto. Così come lo meritano i professori d’orchestra, i direttore e i solisti ospiti. Non li si fa suonare “atterrati”, cioè senza podio, senza pedane, senza prove d’acustiche ed al freddo glaciale, che un riscaldamento mobile avrebbe, almeno, mitigato. Le difficoltà dei teatri a Bari sono quelle che sono, ma la politica (e la p minuscola è d’obbligo) la smetta di considerare una grande risorsa, qual è il nostro patrimonio culturale, come una palla al piede da scaricare.

L’Orchestra e Bari chiedono a gran voce l’Auditorium “Rota” agibile e fruibile, contenitore teatrale inspiegabilmente e colpevolmente chiuso da 25 anni, cioè pochi mesi dopo l’incendio doloso del Petruzzelli. La si smetta di occuparsi solo di ponti inutili, costosissimi e ridicoli, come i fu zampilli dal mare, di fantozziana memoria. Sull’auditorium torneremo presto, visto che, finalmente, c’è una interrogazione parlamentare dell’on. Brescia in proposito.

Quasi non bastasse questo marchettone organizzativo, e mi aspetto che i responsabili chiariscano, ecco seguirne altri. Certo, perché le marchette le facciamo anche noi giornalisti, quando non siamo fedeli nel raccontare i fatti, attenti nel non forzare o condizionare l’opinione del lettore. Qui e là, su testate locali e nazionali, sono apparse recensioni “al buio”, che non tenevano conto di quanto realmente avvenuto durante la serata. Eppure il nostro dovere sarebbe quello di riferire di quella serata e non genericamente assistendo a prove o generali, peraltro in altra sede. Tra la recensione di un concerto e quella di un disco c’è una bella differenza, o meglio ci dovrebbe essere. Ma siamo a Bari e può accadere anche questo.