Rocky, Alex e Money sono tre ragazzi di Detroit che, per sopravvivere in una città morente, che non offre alcuna prospettiva alle nuove generazioni, sono soliti compiere piccoli furti, “colpi facili” che possano garantirgli un sostentamento, sebbene maturato illegalmente. Improvvisamente, ai tre si para davanti l’occasione della vita, quella che permetterebbe loro di dare una svolta alla loro esistenza, trasferendosi magari in California. I protagonisti apprendono infatti la storia di un veterano di guerra rimasto cieco, la cui figlia è stata assassinata in un tragico incidente: a causa di tale tragedia, l’uomo ha ricevuto un cospicuo risarcimento, che conserva in una cassaforte nella sua abitazione. Per i ragazzi si tratta quindi di un’occasione a dir poco allettante: un uomo, cieco, con un milione di dollari stipato in una casa isolata situata in un quartiere periferico e semi-abbandonato. Quello che doveva essere il loro biglietto vincente della lotteria, si trasformerà però in una corsa a ostacoli per sopravvivere, quando senza saperlo Rocky, Alex e Money si infileranno nella “tana del lupo”, rimanendoci intrappolati.

Man in the Dark (il cui titolo originale è Don’t Breathe) è il nuovo lungometraggio scritto e diretto da Fede Alvarez, film-maker uruguagio oramai consolidata certezza nel campo dell’horror/thriller, dopo aver realizzato solo tre anni fa il bel remake de La Casa (The Evil Dead, 1981) di Sam Raimi. Anche in questo caso, il regista compie un lavoro apprezzabile, dando vita a una pellicola originale e dinamica, il cui ritmo è sempre crescente, in grado di intrattenere lo spettatore dall’inizio alla fine con una trama semplice e lineare, le cui potenzialità sia narrative che tecniche vengono sfruttate quasi sempre al meglio.

Da un lato, abbiamo una trama abbastanza prevedibile nel suo dispiegarsi, che sostanzialmente è una sorta di home invasion (sotto-genere cinematografico al quale la scuola spagnola si è molto affezionato nell’ultimo decennio): di fatto, in Man in the Dark abbiamo un rovesciamento di ruoli, con i “cattivi” (i ladri) che diventano prede di colui che dovrebbe essere il “buono” (un uomo vecchio e cieco, al quale hanno assassinato la figlia). Tale trovata si dimostra apprezzabile e originale, e diviene la chiave di volta di una montagna russa emozionale, con i tre giovani in fuga, in uno spazio chiuso e sconosciuto, da un uomo che li mette nelle sue stesse condizioni: al buio totale.

Ed è proprio quando il film va in “total black”, muovendosi nella completa oscurità (sebbene lo spettatore riuscirà a vedere l’azione, grazie a un accorgimento tecnico), che la storia raggiunge il suo massimo climax narrativo, culminando poi in una fase di relativo plateau che accompagna verso il finale, sostanzialmente prevedibile, ma non per questo non valido.

Dal punto di vista interpretativo, spicca la prestazione sia della protagonista Jane Levy nei panni di Rocky, sia quella dell’antagonista Stephen Lang, che interpreta “L’uomo cieco”, mentre l’interpretazione degli altri protagonisti della storia non è particolarmente rilevante.

Un piccolo punto debole di Man in the Dark è quello che vede una colonna audio spesso sovrastata e “annullata” dalla colonna sonora, imperante e alle volte quasi di troppo: in una storia che si svolge prevalentemente al buio, in un ambiente chiuso, nel quale il minimo rumore potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, sarebbe stata una scelta funzionale, sebbene anche rischiosa, quella di lasciare più silenzio di fondo, così che anche il minimo cigolio di una porta avrebbe sortito grande effetto. Trattasi, comunque, di minuzie.

Infine, una riflessione che vede nella città di Detroit una delle location maggiormente inflazionate nell’industria cinematografica degli ultimi anni. Per comprende questo fenomeno, bisogna ricordare che la città, patria dell’industria automobilistica americana, è divenuta il simbolo della crisi economica esplosa sul finire degli anni Dieci del Duemila, con moltissime fabbriche e industrie dismesse e interi quartieri abbandonati da persone trasferitesi altrove in cerca di fortuna. Il principale centro dello Stato del Michigan si è dunque trasformato nell’immaginario collettivo in una sorta di “terra di nessuno” nella quale tutto può accadere, dove sostanzialmente non vi sono più regole e ordine prestabilito, metafora di decadenza, abbandono, entropia e caos della nostra epoca. Uno dei primi a notarlo è stato il maestro Jim Jarmush nel suo Solo gli amanti sopravvivono (Only Lovers Left Alive, 2013), passando poi per altre pellicole, sino ad arrivare a Man in the Dark, pellicola ambientata nella città dove tutte le cose brutte possono accadere, il nuovo Far West dove un uomo può trascinare indisturbato, in pieno giorno, per strada, una donna, ferita e sanguinante, per i capelli, senza essere disturbato da nessuno: non si tratta di spoiler, è proprio la scena d’apertura del film.

SCHEDA TECNICA
Titolo: Man in the Dark
Regia: Fede Alvarez
Sceneggiatura: Fede Alvarez, Rodo Sayagues
Cast: Stephen Lang, Jane Levy, Dylan Minnette, Daniel Zovatto
Genere: Thriller, Horror
Durata: 88 min.
Data di uscita: 8 settembre 2016