La vittoria dell’avvocato e scrittore barese Nicky Persico al Festival del Giallo col suo Spaghetti Paradiso non è più una notizia,a bocce ferme, però, abbiamo voluto rivivere insieme a lui l’atmosfera di quei giorni, le sensazioni prima di apprendere il verdetto, parola usata non a caso trattandosi di un avvocato, l’emozione del trionfo.

L’attesa prima di sapere del premio

«L’attesa è stata ‘neutra’. Poi, nella vita, certe cose le ‘dimentichi’. Parlo di quando, tempo fa, decisi di partecipare ad un concorso letterario. In un primo momento ci ho pensato un po’, ma la quotidianità alla fine ha avuto la meglio. Una mattina, però, è arrivata una e mail che mi informava che ero tra i terzi finalisti. Sono rimasto per un pò sorpreso, ma contento. E quando sono partito, il giorno prima della premiazione, ho riscontrato molta passione intorno al mio “piazzamento” e ne ero sinceramente felice. Certo, vincere mi sarebbe piaciuto molto, ma comunque fosse andata, già questo mi bastava».

Che atmosfera hai trovato a Puegnago del Garda?
«Il Festival è strepitoso: ho avuto la netta percezione di amore per i libri punto e basta. Purezza. Persone straordinarie. La sera dell’arrivo sono stato a cena con molti degli organizzatori, Paolo Roversi, ed altre persone. Un clima sereno. Tutto continuava ad essere in linea, ed ero in un luogo che non avevo mai visitato. La zona intorno a Puegnago del Garda è splendida. Sembrava tutto normale, e invece qualcuno mi stava indagando l’anima. E io non mi ero accorto di nulla».

Le tue emozioni quando hai saputo di aver vinto.
«Al mattino successivo ero, come sempre, preso dalle mille cose della mia vita. Poi aperitivo, pranzo e alle 15 la cerimonia. Chiamano il terzo classificato e non ero io. Mi son detto: per male che vada sarò secondo. Ad un certo punto è arrivato il momento dei romanzi editi, la mia categoria. Mentre i pensieri mi occupavano la mente, è calato il silenzio. La presentatrice stava per annunciare il vincitore. Ha fatto una lunga pausa per alimentare la suspence e poi di “botto” il mio nome, lo scrosciare di applausi, e poi non so più cosa è successo. Mi sono ritrovato il microfono in mano e tutti che mi guardavano. Ho tentato di dire qualcosa, ma ormai ero completamente fuori fase, altrove. Non ce l’ho fatta. La commozione ha preso il sopravvento. E ho terminato a fatica il mio intervento. Poi è stata la volta di Bruno Noris, con una lettura del mio racconto pubblicato su Inchiostro di Puglia: un omaggio fantastico, una voce fantastica, una interpretazione superlativa. Per me, praticamente, la botta finale».

E il giorno dopo?
«Sono rimasto stordito fino al giorno successivo, riprendendomi molto lentamente. Ricordo pochissimo di cosa è accaduto intorno. Un po’ come nel romanzo, quando Alessandro Flachi si sveglia in ospedale e chiede cosa gli sia successo. A me hanno detto “Tranquillo, non è niente, hai vinto il premio letterario Giallo Garda”».

Quando e perché hai pensato di scrivere un giallo?
«Ho deciso di scriverlo quando ho compreso davvero cos’è quella cosa che tutti chiamano ‘stalking’. Perché ci sono persone che, in passato come me, non la comprendono fino in fondo. Ancora oggi, infatti, molti brancolano nel buio, convinti di sapere come funziona la persecuzione. Nelle loro opinioni, spesso, colgo nitidamente i loro errori che hanno, come ricaduta, spesso, tanti errati e fuorvianti consigli. Talvolta intervengo, ma sovente accade che il mio intervenire viene interpretato come “saccente” intromissione. Allora ho pensato di scrivere un saggio, ma romanzandolo per renderlo più efficace nella comunicazione. Ed è piaciuto come libro. Ma intanto diffonde conoscenza, e magari qualcuno un giorno dirà: questa cosa mi ricorda Spaghetti Paradiso. Ed io avrò nel mio piccolo contribuito a dare aiuto e giuste informazioni a qualcuno. Adesso, certo a scrivere, ci ho preso gusto».

Continuando sulle emozioni ci sono ricordi o aneddoti particolari che hanno segnato in qualche modo il tuo lavoro di scrittore?
«Molti, si. In positivo, e anche in negativo. Io mi lamento poco: piuttosto faccio. Ma questo non significa che non osservo o che non capisco. I problemi dell’editoria e di tutti quei ‘mondi’ con i quali ti devi confrontare se decidi di scrivere e pubblicare qualcosa, sono una miriade, e tante cose a volte fanno letteralmente a pugni con il concetto di ‘arte’ o similari. I ricordi belli vengono quasi tutti dai lettori e dal loro entusiasmo. Quelli meno belli da tutto quel che gravita intorno, ma anche lì qualche volta spunta un raggio. Non ho voglia, come sempre, di fare o alimentare polemiche inutili: ce ne sono già troppe, e le lascio a chi ama perderci del tempo. Io, nel mio piccolo, ho voglia di scrivere».

Spaghetti Paradiso, perché questo titolo?
«È un titolo centrato sulla ‘ricetta’ che fa da filo conduttore del romanzo, nella quale il cibo si fonde con l’anima. Un punto di equilibrio, una strada per ritrovarsi e ritrovare qualcuno che la vita ci ha portato a non vedere più. Ma non si può raccontare: bisogna leggerla, per scoprire quali sono davvero i suoi ingredienti. E bisogna predisporsi a viverla, per poterla assaporare appieno».

Chi è Nicky Persico?
«Uno qualsiasi, che come tanti arriva giulivo e immagina e vede solo il bello di ogni situazione nuova. Poi si accorge che qualcosa non va, e a modo suo percorre la strada comunque, cercando di camminare come un equilibrista sul filo, pur di salvaguardare la sua visione e di restare così: giulivo giulivo. Sì, perché il bello di ogni cosa c’è sempre, ma spesso bisogna ricavarlo. È così per tutte le cose. Del resto, io sono un sognatore. Uno che, quando tutti indicano un mare di merda, sorride e dice: “Guarda! Laggiù! Un fiore!”. So che merda è una brutta parola, ma se devo essere scrittore me la concedete una licenza per esigenze di efficacia narrativa?»