Nella bio c’è scritto: numerose sono le definizioni con cui critici e giornalisti musicali definiscono il “sound People Speak”, tra cui electro-punk, indie-rock, post-punk, disco punk. La vostra definizione qual è?
Mari: “Bla bla bla, nel senso che riprende le tante parole dette, gli inquadramenti in cui è stata racchiuso il nostro prodotto (musicale), in cui si sentono tutte le influenze musicali, veniamo da ascolti diversi che nel tempo abbiamo dovuto subire dalla radio e dalla televisione. Sicuramente c’è molta dance anni ’90, c’è una buona dose di punk, a me piace urlare ma anche sussurrare, quindi è un sound misto, un bla bla bla The People Speak, e come diceva Oscar Wilde, bene o male purché se ne parli, per cui bene che se ne parli, che venga inquadrato in ciò che più piace alla gente”.

Ventura: “Avendo tutti noi più o meno la stessa età e avendo subito passivamente la stessa musica, abbiamo cercato una via di fuga nella stessa direzione seppur in ambiti diversi. Questo ci fa ritrovare tutti insieme nel creare qualcosa, che pur partendo dalle stesse basi, sia più gradevole alle nostre orecchie rispetto a quello che abbiamo ascoltato”.

Possiamo dire che siete un gruppo underground?
Ventura: “Si perché siamo a -3!” scherza (il box in cui suonano è tre piani sotto terra, ndr)
Roberto, ignorando benevolmente la battuta di Ventura: “Siamo certamente di nicchia, ma questo non è uno svantaggio. A volte viene vista come una cosa negativa, mentre per noi è positiva perché permette di identificarci in un ambito molto preciso”.

Dire che l’underground nasce come risposta a tutto il commerciale propinato dai mass-media è corretto secondo voi?
Ventura: “Come un’alternativa. Senza presunzione, io credo di avere un approccio alla musica diverso rispetto ad altre persone. Credo sia una questione soggettiva; come c’è chi vuole fare l’imprenditore o l’ingegnere, io sento di voler passare a qualcun altro quello che c’è nella mia testa, ma che non a tutti arriva. Non posso pretendere da un giorno all’altro di ascoltare ciò che  a me piace, però nel mio piccolo posso proporre un’alternativa, sapendo che la musica è molto importante dal punto di vista emozionale”.

Mari: “Il bello dell’underground è che chi ascolta questo tipo di musica se la va a cercare, al contrario di chi ascolta passivamente quello che passano le radio e le tv. La gente viene ad ascoltarti perché gli piaci e non perché ti ha spinto una grande etichetta, questa è la vera indipendenza”.

Ventura: “Il declino di molte band nasce dal fatto che appena sottoscrivono un contratto devono produrre qualcosa, mentre per farlo ci devono essere le condizioni giuste, è un processo del tutto naturale”.

È finita secondo voi l’epoca delle classificazioni a compartimenti stagni ed è l’ora delle contaminazioni?
Roberto: “Sicuramente sì, anche se comunque non è importante, non ci pensiamo. Le definizioni che ci hanno dato sono tutte valide e giuste, noi comunque veniamo qui e suoniamo”.

Ventura: “Ci sono molte contaminazioni, il problema è che te le devi andare a cercare. Se hai voglia, trovi davvero qualcosa di diverso, poi ora è anche più facile con la rete. Io ascolto davvero tanta roba, anche di band delle nostre parti, e vedo che c’è tanta gente che propone cose differenti dal solito, quello che mi dispiace è vedere persone con grandi capacità artistiche ridursi a scopiazzare perché questo le porterà più facilmente ad avere maggiore visibilità, secondo me effimera”.

Mari: “La nostra è una generazione a cavallo, vive un’epoca di grandi cambiamenti tecnologici e culturali, oggi abbiamo la possibilità di scoprire facilmente delle realtà diverse rispetto al nostro circondario, per cui ci sono numerose contaminazioni, una persona curiosa inevitabilmente decide di contaminare la propria vita, di non rimanere indietro aggrappato a degli stereotipi. Io non so suonare, non conosco la musica, però quello che faccio con la tastiera mi piace, è contaminato, e ho voglia di farlo ascoltare. È finito, se vogliamo, questo approccio musicale didattico, nessuno di noi ha studiato, siamo tutti autodidatti…”

Ventura: “…però rispettiamo tutti quelli che hanno studiato, al 100%, e quello che possono fare, perché alla fine servono entrambe le cose. Sono dell’idea che se ti attieni a ciò che hai studiato, lo spirito creativo ne sarà limitato perché sarai portato a riprodurre quello che già conosci. È importante che ci sia e che qualcuno ne tragga ispirazione, ma è importante anche non distinguere troppo le cose. Chi ha studiato non deve disprezzare gli autodidatti, ma anche chi non ha studiato deve rispettare chi lo ha fatto”.

Avete partecipato a numerosi festival e contest vincendone parecchi. C’è un momento in cui si deve smettere perché si è diventati troppo grandi per continuare a farli, pur essendo ancora relativamente piccoli?
Roberto: “Abbiamo pianificato il nostro percorso partecipando a quella che sono le manifestazioni più importanti secondo noi, e molti festival li abbiamo anche vinti. Poi abbiamo deciso di proseguire solo attraverso i nostri concerti”.

Mari: “Come nel commerciale, anche nell’underground si fa la gavetta. Penso sempre a mia nonna che mi chiede perché non partecipiamo a Castrocaro e simili. Noi siamo una band diversa, siamo andarti a Italia Wave, siamo stati al FIMU, al Martelive…è come se avessimo raggiunto il corrispettivo di quei traguardi che ci sono nel commerciale. A Castrocaro non ci puoi andare due volte. Ci siamo fatti conoscere, abbiamo preso i contatti, ora aspettiamo le risposte a quello che abbiamo seminato e nel frattempo andiamo avanti”.

In una intervista avete dichiarato: «Le istituzioni non ci sono, compaiono solo quando c’è da far interrompere qualche iniziativa. In Italia se non “appartieni” a qualcuno non vai da nessuna parte ed è inutile stare ad aspettare il “miracolo”». Perché sono così importanti, cosa c’è di strano a dovercela fare da soli?
Ventura: “Sono nate delle associazioni, delle istituzioni, che attraverso fondi pubblici della comunità europea dovrebbero aiutarci in quello che da soli non possiamo essere in grado di fare, è importante che una persona, attraverso i suoi contatti e la sua esperienza, aiuti a fare le altre cose necessarie che i musicisti non sanno e non possono fare. Si presuppone quindi che non ci sia un conflitto di interesse, che sia al di sopra delle parti, aiuti chi sta producendo come avviene in altri stati europei, dove lo stato ti supporta perché riconosce che stai contribuendo alla crescita culturale del paese. Se il presidente di questa associazione ha i suoi interessi, se ti accorgi che in questo accadono le stesse cose che succedono negli altri settori, ti candono un po’ le braccia”

Roberto: “Poi ci sono le istituzioni vere e proprie, potrebbero coadiuvare il lavoro dei locali e dei promoter che propongono musica da vivo, in modo che si possa fare in maniera più tranquilla e legale, avendo anche il loro ritorno economico”.

Il settore musicale è in profonda e rapida evoluzione, andiamo per gradi. Da pochi giorni è attivo anche in Italia Spotify, l’accesso quasi libero fa bene alla musica?
Mari: “Accesso inteso come fruizione fa bene alla musica, però è anche giusto che sia possibile tutelare la propria opera in forma un po’ più libera. Non credo che la musica vada rinchiusa nelle mani di un monarca come la Siae, che pretende in maniera del tutto astratta di tutelarla dietro pagamento di una tassa, quando poi la fruizione, per esempio sul web, è gratuita, seppur per scelta. Per noi musicisti non c’è ritorno. Proprio di recente abbiamo avuto una discussione con la Siae che non ci ha corrisposto dei soldi, solo perché una pratica è morta due anni fa in un faldone e nessuno di loro si è preso la briga di lavorarla. I The People Speak hanno sborsato un sacco di soldi che la Siae non ha mai restituito. Se dopo un concerto compili male il bordereau, la Siae non ti paga. Quindi si alla fruizione libera, ma anche si alla tutela che sia però scelta liberamente dal musicista. Scelgo io chi pagare per tutelarmi”.

Dal vinile al cd, dal cd all’mp3 e adesso di nuovo al vinile. Cambiare tutto per non cambiare niente? Torneremo alle librerie piene di dischi o il supporto fisico è destinato a pochi eletti feticisti?
Mari: “Corsi e ricorsi storici, come diceva Vico. Penso al vinile come un meraviglioso oggetto del passato, che come tale ha il suo fascino. La vedo come una questione utilitaristica, molti incidono il vinile perché è figo, quando col digitale abbatti drasticamente i prezzi. Possono convivere tutti i supporti”.

Roberto: “Possono e devono convivere, con il vinile che è quello a qualità maggiore, il digitale non arriverà mai al suono dell’analogico. A parte la moda, ben venga il vinile, se potessi comprerei un bell’impianto e tonnellate di dischi”.

Mari: “Pensa che un sito realizza un vinile con le tue ceneri e la tua canzone preferita quando muori. È fichissimo, ormai è proprio un oggetto fetish che dovrebbero vendere nei sexy shop” scherza. Su questo argomento evitiamo ogni commento.

Notizia di questi giorni, le vendite del settore musicale sono tornate a salire dopo 14 anni di calo. La lotta alla pirateria sta dando i suoi frutti o l’industria discografica ha solo sprecato tempo e denaro perdendo le opportunità offerte dalla tecnologia?
Mari: “La lotta alla pirateria è impossibile, alla fine nel momento in cui carichiamo su internet un nostro mp3 siamo pirati di noi stessi, per una serie di dinamiche economiche. È una battaglia persa. Pirateria è ormai un semplice processo di condivisione, negli anni ’90 era diverso, quando ti masterizzavi il cd perché l’originale costava troppo. Oggi le major pensano a nuove forme di vendita, escono sempre nuovi cofanetti…”

Roberto: “…inediti di gente trapassata riemersa dalle bare…”

Mari: “…Dente ha pubblicato un cd con 8 versioni diverse dello stesso brano. Allora, piuttosto che stare a lottare contro me stesso, creo l’oggetto di culto come il vinile o il picture disk o il cofanetto particolare”.

L’ultima domanda: dato che The People Speak, voi di cosa parlate quando non suonate?
Mari: “Di tutto, siamo molto legati come persone ci conosciamo da vent’anni, non ci sentirai mai parlare di luoghi comuni o attualità, del Papa che si dimette o delle elezioni, piuttosto preferiamo andare sugli aspetti umani, ci sentirai chiedere come stai, come ti senti oggi”.

Roberto: “Varcata quella soglia, tutto ciò che ci circonda resta fuori, vogliamo solo suonare e divertici. Questo affiatamento si sente anche nei live e il pubblico se ne accorge”.

Mari: “Durante i concerti capita spesso che io faccia agli altri una doccia col drink che sto bevendo, è una cosa che ci diverte tantissimo, ma è un segno di affetto, qualche volta me lo hanno restituito. Credimi non per fare i punk del cavolo, per noi è come se ci stessimo baciando o abbracciando, è un segno di affetto”.

Per la cronaca, ci siamo salutati con una affettuosa stretta di mano.

Gianluca Lomuto

 

Riprese Gianluca Lomuto e Giovanna Mezzina
Montaggio Gianluca Lomuto

 

Line-up

Pablo_guitars/moustache/vocals
Ventura In_ drums/vocals/electro samba
Mari_vocals/synhts/body/money
Rob_ bass/groove/false vocals
Nichi (ispirazione a distanza)

 

 

Fotografie Giovanna Mezzina