Hai studiato vari stili dalla chitarra classica al blues al fingerstyle ecc. Desiderio di migliorare la tecnica o non eri soddisfatto di quello che imparavi? Una sorta di ricerca continua del tuo stile…

“È stato più un excursus personale. Nella vita di tutti gli artisti, di tutti i musicisti, si parte da un punto e poi, man mano che si cresce, si cambiano obiettivi, lo studio non è mai limitato a una piccola parte di qualcosa. I generi che hai citato sono quelli che mi hanno formato e attualmente suono durante i concerti. Sono le mie basi, non dimentico mai il mio passato e me lo tengo stretto, questo perché non ci si ferma mai, non bisogna fermarsi mai, e in quelle radici si va sempre un po’ a scavare”.

Insomma non ti identifichi in un genere specifico…

“No infatti, non mi sento di classificarmi come un cantautore o come musicista di jazz o blues, quello che cerco di fare è trovare una mia dimensione personale attraverso lo studio che prosegue tutt’ora”.

La lingua principale dei tuoi testi è l’inglese, cosa c’è che non va con l’italiano?

“Non sono il primo a dirlo, però in un progetto marcatamente folk come il mio, l’italiano suona peggio dell’inglese. Sto dicendo una cosa azzardata per cui aggiusto il tiro, diciamo che suona peggio in base a chi lo fa suonare, sicuramente c’è chi lo sa usare meglio di me. Forse è solo una questione di momento, per ora la mia penna va in inglese, magari nel 2014 scriverò in arabo” – ride.

In un periodo in cui i dischi non si vendono più, o almeno così si dice, hai autoprodotto il tuo primo album da solista. Una scelta azzardata o almeno coraggiosa. Perché non hai scelto la sola distribuzione digitale abbattendo i costi?

“Si tratta di una coproduzione: hanno partecipato I Feel African OI’ Orchestra e mio fratello, che è il mio punto di riferimento non solo per la musica. Anche se non vive con me, è sempre presente in tutte le mie cose, non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. Il coraggio è dovuto al fatto che voglio cercare in tutti i modi possibili di far ascoltare la mia musica. Hai ragione, in questo periodo la discografia non è alle stelle, dai tanti super-prodotti che ci sono in giro, onestamente mi arriva davvero poco”.

A quanto dici, c’è molto fumo in giro e neanche tanto buono…

“Il coraggio forse arriva proprio da questo, sono sicuro che le varie etichette e produttori non mi ascolteranno, ma non fa niente, la cosa importante è che ciò che faccio, lo faccio perché sono sincero e non perché mi conviene. Alla fine io voglio fare il musicista, quando vedo che non c’è riscontro alle tante mail mandate o alle centinaia di telefonate, la sola cosa che resta da fare è imbracciare la chitarra e continuare a suonare”.

A distanza di tempo, ritieni ancora una decisione giusta aver prodotto e stampato il disco?

“Per quanto sia difficile e comporti dei sacrifici produrre e stampare un album, alla fine dà delle soddisfazioni. Il fatto stesso di poterlo toccare fisicamente, stringere, fa piacere. Lo rifarei sicuramente. A 21 anni, però, non ho denaro a sufficienza, per cui quando avrò finito le copie fisiche, non farò la ristampa, questo no. Con un po’ di tristezza, proprio in questi giorni ho iniziato a piratare me stesso, fotocopia della copertina e cd scrivibili. Chi vuole, può acquistarlo versando un’offerta libera, anche niente, da ora in poi, ai concerti andrà così. Quello che conta è la musica” – sorride.

Tirando le somme è stato più difficile realizzare il disco o promuoverlo?

“La promozione senza dubbio. Mi sono promosso da solo, in un anno ho realizzato 25 date tra showcase e liveset ed è stato difficilissimo. Mandi duecento mail e ti rispondono in due. Lì veramente non riesco a capire dov’è il limite tra la realtà dei fatti e la maleducazione della persona che c’è dietro. Quando un direttore artistico mi dice che non è facile ascoltare così tanti progetti, rispondo che il suo lavoro è proprio quello”.

Quante date hai tenuto fuori dalla Puglia?

“Fuori dalla Puglia due, una a Roma e l’altra a Termoli dove mi hanno trattato benissimo, sono stati gentilissimi, ospitalità eccezionale, non sono molti i posti dove ti tengono in così tanta considerazione”.

Perché secondo te è così difficile andare fuori a suonare?

“Perché è difficilissimo promuoversi. Fondamentalmente il disco l’ho promosso qui, non l’ho mandato a nessun locale di Milano o della Calabria per dire, con la differenza che ho cercato di portare qui da fuori. Quando vai in trasferta a suonare, le spese aumentano e spesso il cachet è più basso di quello che puoi chiedere a casa, perché il locale non è disposto a sostenere certe cifre necessarie a coprire il viaggio”.

Partecipi a diversi altri progetti, insieme al tuo da solista, come si fa a conciliare tutto?

“Si fa. Io voglio fare questo, voglio fare il musicista, 24 ore su 24 io faccio il musicista, è quasi impossibile per me pensare ad altro. È impegnativo, ma lo faccio”.

Primo album da solista e “Most Original Artist” al Jazzup Festival con la BemollAnsemble. Il 2012 è stato denso di avvenimenti…

“Tra alti e bassi, quest’anno mi è piaciuto tantissimo, magari ce ne fossero altri così. È stato bellissimo a Viterbo, non solo il premio, ma tutto il viaggio, l’organizzazione, noleggiare il furgone e partire tutti insieme…naturalmente a volte qualcosa ti butta giù, ma certe emozioni le regala solo la musica”.

Su Facebook hai promosso la raccolta fondi avviata da un collega per realizzare il suo album. Si può essere solidali se pur concorrenti?

“Concorrenti non esiste, nella musica non esiste proprio, almeno con me, è l’esatto contrario. Ecco, forse il problema della discografia attuale è proprio questo, lo so che certi artisti non vogliono mescolarsi con altri, ma perché devo essere concorrente di una persona che si sta esprimendo con la mia stessa lingua? Concorrenti non esiste, anzi più si fa famiglia, più ci si unisce, e meglio è”.

“Spend your time to live your passion” è il primo verso di una tua canzone, ma anche e soprattutto la tua filosofia di vita. Credi che la gente abbia dimenticato questo semplice concetto tanto da doverglielo ricordare?

“Assolutamente sì. Mi guardo intorno e vedo tante persone stanche, insoddisfatte, perché la vita loro non è quella che volevano. Il concetto è proprio questo, aprire gli occhi e arrivare a prendere ciò che si vuole veramente, anche se il tragitto è tortuoso, pieno di ostacoli…a 21 anni so di non aver ancora vissuto, non ho la pretesa di dire come si fa, spero però che questa non sia un’utopia”.

Gianluca Lomuto

Riprese e montaggio di Gianluca Lomuto:

 

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Fotografie di Giovanna Mezzina: