Appuntamento in sala prove, due ore sotto lo sguardo vigile del manager, pezzi nuovi che si alternano a brani collaudati, la novità del piano elettrico e un’ amalgama sempre più densa. E poi, dopo aver salutato il bassista, via al pub difronte per saperne di più, sorseggiando una birra che non guasta mai.

Come e quando si formano gli Yellow ?

“Il gruppo è nato proprio qui – racconta Francesco, un po’ stupito per la coincidenza – io ero appena tornato da un concerto degli U2 e con Gianluca non ci vedevamo da cinque anni, da quando si era sciolta un’altra band in cui suonavamo insieme. L’ho chiamato per esporgli la mia idea e lui ha subito accettato. Abbiamo iniziato a scrivere i primi brani in acustico, provando a casa solo voce e chitarra e cercando altri membri da inserire nella formazione.”

“E’ nato quasi come una reunion – aggiunge Gianluca – Si è evoluto in elettrico, ed è diventato un po’ meno pop rispetto agli inizi, volevamo un po’ più di spinta, anche nei live volevamo più energia, che è arrivata appunto con la batteria e la chitarra elettrica”.

Gli Yellow, prima degli Yellow. Quali esperienze hanno preceduto la nascita del gruppo?

Francesco: “Io suonavo nella classica cover band, eseguivamo le sonorità inglesi che a me piacciono tanto: Oasis, i primi Muse, Placebo e anche qualcosa di David Bowie. Poi sono passato nella band che ha preceduto gli Yellow e suonavamo l’esatto contrario, rock italiano un po’ americanizzato, questo mi ha permesso di sperimentare altre cose”.

Claudio: “A Bari ho suonato in una cover band dei Toto e nello stesso gruppo di rock italiano con Francesco e Gianluca. A Roma invece, da dove sono tornato di recente, ho suonato i Joy Division, la musica cantautorale italiana e altri ancora. C’è stato un periodo in cui suonavo con otto gruppi diversi, questo mi ha permesso di abbracciare tanti generi diversi”.

Gianluca: “Oltre al gruppo con Francesco e Claudio, ho avuto esperienze hip-hop in cui scrivevo e cantavo i ritornelli, in effetti sono diventato cantante con gli Yellow…”

“E non sai quante battaglie per convincerlo – conclude Claudio – anni fa non ne voleva proprio sapere.”

A proposito di cover band, cosa ne pensate?

“Per iniziare vanno benissimo – è la risposta unanime – poi la questione diventa di natura economica. La prima domanda che ti pone il gestore di un locale è quanta gente porti, i gruppi che propongo i loro inediti ne sono penalizzati. Oltre a questo c’è un altro aspetto: suonare la musica degli altri va bene e serve a un musicista, non va bene farlo indossando gli stessi vestiti, usando gli stessi strumenti o addirittura riproducendo gli stessi errori del gruppo originale. Cover si, clone no”.

Perché avete deciso di cantare brani in inglese?È una scelta artistica o ritenete che possa facilitare l’affermazione della vostra musica?

“Entrambe le cose – spiega Francesco – Sia artistica che di mercato, inteso però come possibilità di far conoscere a più gente possibile la nostra musica, e l’inglese in questo senso aiuta”.

Chi scrive i brani?

“I testi li scrivo io – risponde Gianluca – però Francesco mi dà una grossa mano, anche perché con l’inglese è molto più bravo di me” – sorride.

Quasi 1.500 like su Facebook e 3000 followers su Twitter sono davvero tanti per una band che non ha ancora pubblicato il primo album. Come vi state muovendo per farvi conoscere, c’è una strategia?

“Al contrario di altri gruppi, abbiamo cercato di proporci prima all’estero e poi in patria. C’è gente che ci segue in Francia, in Germania, in Serbia, addirittura in Giappone e in America Latina. In effetti si, è stata una scelta strategica agevolata dai testi in inglese. Speriamo che non sia sbagliata” – scherzano.

Pregi e difetti degli Yellow: in cosa siete bravissimi e in cosa dovete ancora migliorare?

La risposta di Francesco è netta e immediata: “In acustico siamo fortissimi, la voce di Gianluca ha più spazio e si sentono di più i suoni della mia chitarra”.

“È una domanda difficile – ammette Claudio – potei dire mille cose e sbagliare, e poi sono di parte. Mi è più facile trovare un difetto, secondo me dobbiamo aprire ancora un po’ i nostri orizzonti musicali, non molto, ma siamo ancora un po’ troppo settoriali e in questo vedo di buon occhio il supporto dell’elettronica, che ci aiuterebbe a scardinare alcune definizioni di genere”.

Per Gianluca invece “gli Yellow sono una grande famiglia, ci vogliamo davvero bene e questa cosa si vede non solo sul palco ma anche durante le prove, ci cerchiamo continuamente, non c’è tensione e se qualcuno di noi sbaglia ci ridiamo sempre su senza mai accusarci di qualcosa”.

Il settore musicale è in crisi profonda: i dischi non si vendono, i gestori dei locali pagano poco per la musica live, quando pagano, e gli spazi sono sempre di meno. Allora cosa spinge gli Yellow a provarci?

Claudio non ha dubbi: “L’amore per la musica” “Portare in giro quello che diciamo con la musica e lasciare un segno”- si aggiunge Francesco – “e la forte passione”- conclude Gianluca.

Quali sono le maggiori difficoltà che stante incontrando in questa fase iniziale?

“Per noi ma per tutti i gruppi alla fine, è poter suonare su palchi importanti, che ti facciano conoscere un po’ di più”.

Concorsi musicali: sì o no?

Risponde Gianluca: “Ne abbiamo fatti in passato, anche prima degli Yellow, spesso non si sono dimostrati all’altezza delle promesse fatte. Certo, se il nostro manager ci dicesse di partecipare a tal concorso perché importante secondo lui, sicuramente lo faremmo”.

“Siamo arrivati primi – ricorda Francesco – al contest online per suonare allo Sziget festival, la decisione finale però era a discrezione della giuria che non ci ha scelto. Sempre online abbiamo vinto il contest SuperSound del MEI”.

Talent show: sì o no?

“Per me è no – risponde Gianluca, scimmiottando i giudici di X-factor, suscitando le risate di tutti – la scelta alla fine è più legata allo spettacolo che alla qualità delle voci”.

Claudio invece è più possibilista: “Se aprissero X-factor alle band io ci andrei, perché oltre questo c’è solo Sanremo”.

Major o etichette indipendenti?

Francesco risponde secco e sicuro: “Indipendenti”. Poi articola: “Piuttosto che crescere e regalare soldi a chi ne ha già, preferisco farlo facendo crescere l’etichetta insieme a me”.

“Conosco gente che ha contratti con le major – aggiunge Claudio – e che è ridotto allo stato di una marionetta nelle loro mani, quindi sì, assolutamente indipendenti”.

Per Gianluca: “Indipendenti, anche per essere liberi di poter scrivere e suonare cosa ci piace senza dover confezionare un prodotto di plastica meglio vendibile a detta di altri”.

“Voglio vedere se arriva una major con 500 mila euro per noi domani”, sfotte Claudio. I commenti non sono ripetibili.

Ultima domanda. Il rock è morto o gode di ottima salute?

“Il rock non è morto, però non sta neanche tanto bene”.

Alla fine della lunga chiacchierata, sono loro a rivolgere una domanda:

“Non ci hai chiesto perché ci chiamiamo Yellow…”

In effetti è vero.

“C’è un motivo che non si può dire, per cui ogni volta inventiamo una storia nuova”.

A microfono spento ci raccontano com’è andata. Ma sarà vero?

 

Gianluca Lomuto

 

Lineup:

Gianluca Damiani, voce chitarra acustica e piano

Francesco Loiacono, chitarra elettrica

Luca Giura, basso

Claudio Mazzarago, batteria e strumenti elettronici

 

http://www.youtube.com/theyellowmusic

https://www.facebook.com/yellowofficialpage

 

Fotografie di Giovanna Mezzina