Un tratto quasi spigoloso, l’uso del bianco e nero e un realismo ai limiti della pignoleria sono i tratti distintivi di questo lavoro in cui nulla è lasciato al caso. Il “barese doc”, vi rintraccia agevolmente posti, caratteristiche e volti che hanno costituito un pezzo di storia del capoluogo pugliese, che pure non è mai nominato. I “fratelli” che danno il nome alla raccolta sono Cosimo e Nerone. Il bisogno di vivere per l’istante, l’incapacità di riuscire a lavorare per un’ipotesi di futuro e l’ossessione per la droga come unico riferimento costante delle proprie esistenze, segnate dall’assenza fisica, ma anche morale, dei genitori, sono la cifra distintiva di questa sorta di “meglio gioventù” rovesciata.

“Sono sostanzialmente paralizzati nell’adolescenza – afferma Tota -.  È uno dei nostri problemi: noi non diventiamo mai adulti. Nella mia idea di adulto, come mi è stata trasmessa dai miei genitori, c’è un senso del decoro, del limite che manca all’adolescente. I miei personaggi sono in questa fase: non capiscono quando è il momento di fermarsi.

Originario di Taranto, Alessandro ha vissuto a Bari solo per un breve periodo della sua vita, prima di trasferirsi a Bologna per gli studi all’Accademia delle Belle arti, approdando infine a Parigi, dove tuttora vive e lavora.

“I tre anni in cui sono stato a Bari – dice Tota – sono stati molto importanti, perché era il periodo dell’adolescenza piena: 16-18 anni. È il tempo in cui fai le esperienze con cui poi ti devi confrontare per tutta la vita: la prima ragazza l’ho avuta a Bari, i primi amici veri, li ho avuti a Bari. Questa città – aggiunge – è un territorio di narrazione molto interessante, come lo sono tante città italiane più ricorrenti nella narrativa, come Napoli o Milano.

Eva Signorile