Mr Gwyn è uno scrittore che ha stabilito, dopo aver raggiunto un discreto successo, di non scrivere più. Decide che, appunto, vuole dedicarsi ai ritratti, non ritratti comuni, però, quelli pittorici, per intenderci. No: lui vuole “scrivere” i suoi ritratti. Così, comincia la ricerca del protagonista: catturare il segreto delle persone, “riportarle a casa”.

Sceglie con cura “l’atélier” in cui lavorerà, un garage, chiede a un suo amico musicista di creargli un’atmosfera sonora (la musica, i suoni, sono componenti fondamentali della sensibilità letteraria di Baricco) e, soprattutto, sceglie con cura la luce che illuminerà i modelli che poseranno per lui, rivolgendosi a un uomo che crea lampade artigianalmente, “a mano”.

Si spiega così la “location” minimalista messa su per l’occasione, in una Feltrinelli piena fin quasi a scoppiare: un filo di lampadine in serie e una pioggia di suoni evocativi, tipo acqua gorgogliante di ruscelli e uccelli che cinguettano, del genere new age, che si propagano dall’altoparlante nell’attesa dello scrittore. Le lampadine sono 18: quante sono quelle che Mr Gwyn ha chiesto all’artigiano di creare per il suo particolare studio, “lampadine che morissero dopo trentadue giorni di funzionamento”, si legge nel libro.

È cordiale, Baricco, ringrazia più volte il pubblico con le mirabili “s” dolci del suo accento torinese. Poi inizia a parlare del suo libro: l’idea, racconta, gli è venuta nel più letterario dei modi: una sera d’inverno a Parigi, mentre osservava un quadro in un museo, dove si era rifugiato per sfuggire alla pioggia e alla noia (anche “Oceano mare”, gli è stato ispirato da un’opera pittorica: “La zattera della Medusa”, di Théodore Géricault, ci tiene che lo sappiamo). La genesi del romanzo, un quadro, spiega in parte l’ossessione del protagonista per l’illuminazione dei suoi soggetti.

Ma c’è anche la mania dello stesso scrittore per “la velocità”, il ritmo del romanzo, che è quello “di un passo”: seguiamo infatti  Mr Gwyn con un ritmo che è quello del suo proprio passo. Baricco racconta che questa idea del ritmo era talmente presente che, a un certo punto, era arrivato a formulare l’ipotesi di scrivere capitoli che contenessero persino lo stesso numero di parole. Idea abbandonata, “per ovvie motivazioni” dice, con sguardo carico di sottintesi fatti di camicie di forza e corridoi di case di cura: pericolo scampato.

Ci tiene, che il pubblico comprenda questa sua ossessione e perciò inizia a leggere il suo romanzo: arriva fino al terzo capitolo. Intanto, ci si mette in fila per la lunga cerimonia degli autografi e delle foto, fra ragazze rosse di timidezza e papà pronti a immortalare l’attimo in cui la propria figlia sarà seduta al tavolino con lo scrittore.

Eva Signorile