Dalle prime ore di questa mattina, i Carabinieri del Comando Provinciale di Bari, a conclusione di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica del capoluogo pugliese, stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare a carico di 5 indagati per i reati di lesioni gravissime e permanenti e detenzione di armi, aggravati dall’aver agito con modalità e per finalità mafiose. A breve aggiornamenti.

Aggiornamento: I Carabinieri del Comando Provinciale di Bari hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misura cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Bari, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nella quale vengono riconosciuti gravi indizi di colpevolezza a carico di 5 soggetti, sottoposti ad indagine per i reati di lesioni gravissime e permanenti e detenzione di armi, aggravati dall’aver agito con modalità e per finalità mafiose. Il provvedimento riguarda due ferimenti, commessi il 13 ed il 17  novembre del 2015 nella frazione di Ceglie del Campo, nei quali vennero attinti con numerosi colpi d’arma da fuoco due soggetti, uno dei quali appartenente al clan “Di Cosola”, nell’ambito delle fibrillazioni interne che hanno seguito la scelta di collaborare con la giustizia dello storico capo Antonio Di Cosola. Gli agguati furono commessi, il primo, per strada in pieno centro abitato e, il secondo, con l’irruzione armata in un circolo ricreativo in presenza di altre persone. Il tutto finalizzato non solo a colpire fisicamente le vittime ma anche e soprattutto a lanciare un chiaro segnale a tutti i sodali.

Secondo l’impostazione accusatoria accolta dal Gip, i due fatti di sangue, vicini tra loro temporalmente, sarebbero scaturiti proprio a seguito del vuoto di potere creatosi dalla decisione di collaborare con la giustizia del capo. Tale decisione avrebbe sconvolto gli equilibri dei sodali, soprattutto quelli che, per vicinanza camorristica e fedeltà indiscussa all’ormai ex boss, ritenevano essere i naturali eredi al vertice del clan. Una pretesa che non sarebbe stata riconosciuta da quella parte del clan che godeva anch’essa di alta considerazione camorristica, ma soprattutto di un vincolo parentale con tutta la famiglia Di Cosola. Proprio in virtù di detta fibrillazione e sulla base di risultanze investigative già raccolte in quel periodo storico dalla DDA e dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Bari, nell’ambito dell’indagine Attila, nel successivo mese di dicembre fu eseguita una ordinanza di custodia cautelare in carcere, con la quale venne decapitato il braccio armato del clan e vennero spente sul nascere le rivalità per l’ascesa al potere. Le indagini che hanno portato all’odierna misura cautelare sono state condotte con l’ausilio di attività tecniche d’intercettazione, suffragate dalle successive dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, puntualmente riscontrate.