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Due imprenditori, amministratori in via provvisoria di società di gioco e scommesse site a Bari e Acquaviva delle Fonti, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza con l’accusa di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale impropria per operazioni dolose, indebita restituzione dei conferimenti e false comunicazioni sociali. Il Gip di Bari ha disposto l’arresto dei due e una misura interdittiva per una terza persona, sotto richiesta della Procura.

Secondo quanto raccolto dalle intercettazioni telefoniche e telematiche, da interrogatori, controlli e pedinamenti effettuati dagli inquirenti, una delle aziende “avrebbe ceduto un ramo dell’impresa, composto da 4 sale bingo e 2 video lottery presenti a Bari, Martina Franca, Taranto, Casamassima, in Abruzzo, precisamente a Corropoli e nelle Marche, a San Benedetto del Tronto”. Questa parte d’azienda dal valore di 9 milioni di euro sarebbe stata data a soli 120mila euro ad un’altra società, che dalle indagini risulta essere “intestata alla madre dei rappresentanti legali della società cedente”. Così quest’ultima, essendo riuscita a liberarsi di una sua cospicua parte di patrimonio e risultando indebitata con oltre 18milioni di euro, è stata “dolosamente avviata al fallimento, dichiarato dal Tribunale di Bari nel luglio del 2019 su richiesta di questa Procura della Repubblica”.

Le Fiamme Gialle hanno potuto verificare che anche l’impresa acquirente di quelle sale e video lottery, avrebbe già “accumulato una rilevante esposizione debitoria secondo una pianificata e ben collaudata opera di distrazione patrimoniale”. Da quanto emerso la somma distratta e dissipata dei beni societari ammonterebbe ad oltre 8,6 milioni di euro. Gli accertamenti hanno inoltre dimostrato che le due società hanno avuto condotte depauperative dei rispettivi patrimoni, “poste in essere mediante l’annotazione nelle relative scritture contabili di debiti inesistenti in favore di imprese riferibili al medesimo nucleo familiare degli indagati”.Il gip riporta qualcosa di ancora più grave: sembrerebbe che uno degli indagati, nonostante l’azienda non fosse palesemente nelle condizioni di poter pagare i propri dipendenti, “avrebbe sottratto dalle casse societarie circa 7mila euro per giocare alle macchinette in una delle sale slot appartenenti alle imprese”.