Emergono nuovi particolari sul suicidio dell’agente penitenziario, Umberto Paolillo, il 56enne che la notte tra il 17 e il 18 febbraio si è tolto la vita con la pistola d’ordinanza. Dopo che su incarico della Procura di Bari i Carabinieri hanno raccolto documenti e testimonianze, è stato aperto un fascicolo di indagine per istigazione al suicidio.

“Io non mi arrendo – continua a ribadire la mamma di Umberto – voglio sapere tutta la verità. Io so i nomi delle persone che per tutti questi 10 anni di servizio al carcere di Turi hanno reso la vita di mio figlio un inferno”. 

Un altro elemento cardine della storia riguarda la pistola d’ordinanza. Da quando abbiamo cercato di ricostruire i pezzi con la signora Rosanna, abbiamo sempre sottolineato che la mattina del suicidio Umberto si era recato in carcere per recuperare la pistola, ma in realtà le cose stanno diversamente.

“Quel giorno – spiega – eravamo andati al Caf per ritirare i documenti che servivano ad Umberto per anticipare il pensionamento di due anni, visto che doveva assistere suo padre che ha la 104. Questi documenti, dopo la morte di mio figlio, erano spariti e dopo averli cercati dappertutto ho capito cosa è successo. Umberto quel giorno era andato in carcere per consegnare i documenti. Chissà cosa è successo visto che poi ha deciso di prendere la pistola. Nel frattempo i documenti non sono stati protocollati, come in realtà si dovrebbe fare, e sono spariti”.

“Chiunque ha fatto del male a mio figlio la deve pagare, io di certo non mi arrendo. Lui amava la sua divisa – continua con le lacrime agli occhi – e in quel carcere doveva essere protetto e invece lo hanno ammazzato psicologicamente. C’è un’altra persona che sta subendo le stesse angherie. Lui ha deciso di non andare più a lavorare perché ha paura di finire come Umberto”.

“Anche i sindacati sapevano la situazione di Umberto – conclude la mamma – perché lui, anziché farmi preoccupare, si sfogava con loro, solo che io sentivo dall’altra parte del muro e so tutto, so i nomi di chi ha vessato mio figlio per anni. A stare con i detenuti, anche loro sono diventati cattivi. Lo Stato deve fare qualcosa. Il mio cuore ormai è distrutto, ma voglio giustizia per mio figlio”.