Dopo la toccante intervista a Rosanna, ai nostri microfoni abbiamo l’avvocato La Scala, amico di Umberto, l’assistente capo di 56 anni, scomparso il 18 febbraio scorso. L’uomo in servizio presso la casa circondariale di Turi, si è tolto la vita sparandosi un colpo di pistola in auto nel cuore della notte a Bitritto. Si era appartato per non far preoccupare il papà malato e sua mamma.

“L’ho conosciuto tramite suo fratello Pino, morto per un male incurabile – racconta l’avvocato -. Già dal 2005 ricevevo delle lettere di Umberto mentre era nel carcere di Verona a prestare servizio. Lamentava di essere costantemente preso in giro con battute a sfondo sessuale. Era un ragazzo, riservato, un po’ taciturno e quindi in certi ambienti si traggono subito conclusioni, spesso sbagliate”.

“Trovare i responsabili sarebbe impossibile – spiega La Scala – perché Alberto era vago scriveva i colleghi, il superiore, l’amico di turno, senza mai fare nomi e cognomi”.

“Sotto un profilo penalistico è difficile parlare di istigazione al suicidio, sotto un profilo civilistico sì. Chi aveva responsabilità avrebbe dovuto  proteggere Umberto, che nel 2015 è stato addirittura indagato per truffa ai danni dello Stato perché visto da un collega al rifornitore di benzina in un giorno in cui risultava in malattia”.

“In realtà la malattia era esistente, documentata e compatibile con quell’uscita. Il pm ha chiesto e ottenuto l’archiviazione nel giro di poco tempo. Questo ennesimo stress fu il colpo di grazia”.

“Alberto per via del suo carattere chiuso e riservato si sottoponeva giustamente a visita medico ospedaliera. Per prudenza non dovevano dargli la pistola. Applicando le norme alla lettera probabilmente nessuno ha violato nulla, ma forse bastava un po’ di umanità per scongiurare un dramma, che Alberto fosse depresso era sotto gli occhi di tutti”.