Rosanna è distrutta, non riesce a trattenere le lacrime quando parla della morte di suo figlio Umberto, 56 anni, scomparso il 18 febbraio scorso. L’assistente capo, in servizio presso la casa circondariale di Turi, si è tolto la vita sparandosi un colpo di pistola in auto nel cuore della notte a Bitritto. Si era appartato per non far preoccupare il papà malato e sua mamma.

Rosanna è un fiume in piena. Chiede ai suoi colleghi una prova di coraggio. “Se qualcuno conosce episodi specifici che riguardano colleghi o superiori di Umberto – tuona la donna – si faccia avanti”.

L’assistente capo, secondo quanto raccontato da alcuni conoscenti sarebbe stato pesantemente bullizzato e offeso per via dei suoi modi gentili. “Mio figlio non era omosessuale, o frocio come lo chiamavano alcuni dei suoi colleghi – spiega la donna – ma anche fosse non ci sarebbe stato nulla di male. Gliene hanno combinate tante, fin da quando era di stanza a Verona. La cosa non è cambiata quando è stato assegnato a Turi”.

Sono tante le domande alle quali la donna, 81enne, non riesce a dare una risposta. “A Umberto mancava poco alla pensione – dice Rosanna -. Perché è andato a prendere la pistola e perché gliel’hanno data visto che non sarebbe dovuto andare a lavorare? Come ha fatto l’amministrazione carceraria di quella piccola struttura a non accorgersi delle angherie che subiva mio figlio?”.

La mamma non riesce a darsi pace e grida vendetta. “Non voglio solo giustizia per Umberto – incalza – cerco vendetta. Chi ha sbagliato deve pagare per ciò che ha fatto a mio figlio. Era il bastone della nostra vecchiaia, accudiva me e mio marito e una volta andato in pensione avrebbe voluto fare il giro del mondo in un anno. Nei giorni prima del suicidio siamo andati a fare alcune commissioni, sembrava sereno. La notte in cui si è tolto la vita era steso a letto a guardare la partita della Juventus quando sono andata a dargli la buonanotte intorno alle 23. Sono andata a letto tranquilla, fino a quando alle 2.30 i carabinieri non hanno citofonato ripetutamente. Hanno rovistato casa, forse credendo che Umberto avesse ucciso qualcuno prima di togliersi la vita”.

Un dramma senza consolazione, soprattutto in considerazione della morte dell’altro figlio, anch’egli un servitore dello Stato, seppure scomparso a causa di un male terribile. “Umberto si riteneva fortunato ad avere quel lavoro – conclude la donna – aveva rispetto per la divisa che indossava, ne era fiero. È inconcepibile ciò che è successo e finché avrò respiro lotterò per arrivare la verità”.