Ambulanze in coda per ore nei pronto soccorso cittadini, territori senza presidio sanitario, pazienti in difficoltà e parenti infuriati. Nell’ultima settimana, quella in cui avrebbe fatto irruzione la terza ondata di contagi, abbiamo raccolto alcune testimonianze dal fronte. Medici, infermieri, autisti e soccorritori del 118 sono stremati e per molti di loro neppure la notizia dell’internalizzazione è una consolazione. Solo ieri abbiamo scritto lo sfogo di alcuni operatori del 118 in merito al delirio di gente presente nel centro di Bari.

“Ciò che alcuni colleghi di pronto soccorso non comprendono – dice un medico del 118 in coda – è che siamo tutti in trincea. Combattiamo tutti la stessa guerra e con la pandemia in atto farci aspettare ore e ore significa solo aumentare le criticità esistenti. Non faccio di tutta l’erba un fascio, ma stiamo attraversando un momento difficile mentre Governo e Regioni litigano sulle competenze della chiusura delle scuole”.

 

IL MEDICO – “Arriviamo al pronto soccorso intorno alle 17.15  – racconta il medico della postazione 118 di Grumo -. Trasportavamo una paziente investita per strada a Modugno. La donna, una 83enne, lamentava dolori alla spalla e le sue condizioni erano tali da essere necessaria una tac. L’abbiamo portata stabile, nelle migliori condizioni possibili. Il collega della sala gialla, però, senza neppure visitarla ci ha liquidati: vi metto in coda. Per farla breve, alle 20.21 siamo ancora in coda fuori dal pronto soccorso, senza che nessuno abbia sentito l’esigenza quantomeno di visitare la paziente.

Il mancato sbarellamento ha causato un danno a tutta la comunità di Grumo Appula, privata dell’ambulanza del 118 per un periodo inaccettabile. I familiari dell’anziana si sono infuriati e hanno minacciato di denunciare tutto alle autorità competenti. Spero lo facciamo, perché la situazione sta sfuggendo di mano. Abbiamo trovato una barella nascosta. Il dottore della sala gialla è andato via lasciando le consegne a chi subentrava.

Una situazione contro ogni logica e deontologia professionale, senza contare la totale mancanza di umanità. A questo ci stanno costringendo. Ci sono delle criticità, ma in questo caso poteva essere gestita diversamente. Le autorità devono controllare il rispetto delle norme e dei protocolli. Eravamo soli, non c’era nessun altro in coda. E tanto per completare il quadro, quando è andato via il medico smontante ci ha fatto capire di essere soddisfatto per averci lasciato per ore senza assistenza”.

L’AUTISTA-SOCCORRITORE – Al medico fa eco l’autista-soccorritore della postazione 118 di Rutigliano. “Alle 14.15, mentre tornavamo a Rutigliano – spiega – ci chiamano per andare a casa di un uomo con sospetto trauma cranico e frattura di femore in seguito a una caduta. Abbiamo chiesto il tempo di andare in postazione per rifornirci delle tute per bardarci, finite nell’ultimo intervento. Nel frattempo il paziente resta a casa, non c’era nessun altro da mandare al posto nostro.

Andiamo a Valenzano, lo carichiamo su spinale, effettivamente l’uomo aveva quella che sembrava una frattura del femore oltre al trauma cranico. Si presentava con una vistosa ferita sulla fronte. Ci dirigiamo al Di Venere, facciamo il tampone, aspettiamo 15 minuti per il risultato. Arriva l’infermiere e ci dà il via libera. Una volta dentro, però, l’infermiere torna e ci dice di aver sbagliato a comunicare l’esito del tampone, in realtà positivo.

Abbiamo ricaricato il paziente sull’ambulanza e la Centrale operativa ci comunica di portare il paziente all’ospedale San Paolo, dov’è presente l’area covid. Arrivati in ospedale ci viene detto senza mezzi termini che non ci sono posti disponibili in Ortopedia. Il paziente sta male, si trova sulla barella spinale, la frattura potrebbe aggravarsi, perché in questi casi basta un minino spostamento – qualora la fattura fosse stata effettivamente al collo del femore – per lacerare l’arteria femorale.

Siamo bardati dalle 14.30 e sono le 17.15. Oltre alla nostra ambulanza, in coda c’è anche quella di Casamassima, sono lì dalle 12.45. Stiamo fuori dalle 8 della mattina e siamo stati liberati solo alle 19.40, senza essere neppure riusciti ad andare a mangiare”.

IL SOCCORRITORE – È di qualche giorno fa, invece, l’intervento in cui è stata impegnata per quasi 6 ore l’ambulanza della postazione di Triggiano, chiamata a Capurso per soccorrere una coppia di pazienti positivi al covid. Inizialmente a dover essere soccorso è solo l’uomo, ma giunti sul posto i soccorritori scoprono che anche la donna sta desaturando. Sono entrambi aiutati dall’ossigeno.

Viene richiesta un’ambulanza medicalizzata. La più vicina è quella di Castellana Grotte. Trattati i pazienti in casa, dopo un’ora viene deciso il trasporto in ospedale. Su indicazione della Centrale operativa, i due pazienti vengono trasportati ancora al San Paolo. L’uomo viene accettato dopo circa un’ora. Per la donna, invece, non c’è posto. A quel punto inizia un’attesa lunga circa sei ore.

“Abbiamo provato a cercare un altro ospedale in cui portare la paziente, ma non c’era niente da fare – spiega l’operatore del 118 -. La Centrale ci ha imposto di restare lì fuori. Abbiamo terminato l’ossigeno e solo dopo diversa insistenza siamo riusciti ad avere una bombola. La donna desaturava a 95, si sarebbe potuta far accomodare su une sedia in modo da liberare l’ambulanza. Capiamo le difficoltà di tutti, ma come successo un anno fa il sistema sta andando in tilt e il 118 fa sempre meno quello per cui è stato istituito”.