“Il focolaio poteva essere evitato se soltanto le misure precauzionali fossero state adottate”. È quello che emerso dalle indagini condotte dai Nas e coordinate dal procuratore Roberto Rossi in merito ai contagi e ai decessi registrati nella rsa Villa Giovanna nel quartiere San Girolamo a Bari. In totale sono risultati positivi 130 persone, di cui 93 ospiti, e sono deceduti 27 anziani. Nel mirino anche la Nuova Fenice di Noicattaro.

La procura della Repubblica di Bari ha chiesto l’arresto per i manager del gruppo Segesta, al quale la struttura barese e quella di Noicattaro fanno capo. Tra i vari episodi al vaglio degli inquirenti c’è anche il flash mob organizzato a Villa Giovanna dove operatori e anziani sventolano le mascherine.

Dispositivi di sicurezza insufficienti, operatori invitati a consultare internet per capire come indossare tute e mascherine, “criticità sulla gestione del personale, della struttura e dell’approvvigionamento di dpi” come ha sottolineato il procuratore Rossi.

La richiesta di arresto ai domiciliari per il reato di epidemia è stata formulata per Federico Guidoni e Catina Piantoni, legali rappresentanti della Segesta Mediterranea; per Michele Di Tommaso e Tiziana Caselli, rispettivamente coordinatore sanitario e coordinatore gestionale della rssa Villa Giovanna, e per Nicoletta Ricco, coordinatore gestionale della Nuova Fenice.

Dopo il primo no dei giudici, adesso tocca al tribunale del riesame, al quale la Procura ha fatto ricorso, decidere sulle sorti dei dirigenti. “La trascuratezza e la noncuranza degli organi dirigenziali della struttura – scrive il pubblico ministero – hanno peraltro colpito la categoria più fragile in ragione dell’età avanzata e delle patologie pregresse, nonché la prima che andava tutelata e protetta, con la consequenziale registrazione di ben 27 decessi di persone che sebbene affette da patologie pregresse sono risultate positive al virus”.

Secondo l’accusa un infermiere che per un periodo ha lavorato nel reparto Covid del Policlinico e che poi è risultato positivo sarebbe stato fatto rientrare in servizio a Villa Giovanni dopo soltanto 12 giorni di isolamento e senza essere sottoposto ad alcuno screening. A un addetto delle pulizie la positività al test sarebbe stata comunicata in ritardo, invece, cioè dopo quattro giorni. Michele Di Tommaso, coordinatore di Villa Giovanna e La Nuova Fenice, il 28 marzo ha appreso di aver contratto il Covid, ma non è mai stato sostituito.

Le mascherine chirurgiche venivano consegnate agli operatori sanitari, educatori, fisioterapisti e addetti alle pulizie che ne facessero richiesta a inizio turno ed “esclusivamente nel caso in cui presentassero dei sintomi quali tosse, raffreddore o febbre; in presenza, invece, di richieste ripetute da parte di operatori asintomatici, la coordinatrice gestionale, Tiziana Caselli sconsigliava l’uso delle mascherine perché potevano suscitare panico e allarme fra gli ospiti”.

“Inizialmente il personale sanitario ha trattato gli ospiti utilizzando le tute in Tnt e non quelle specifiche Covid, che ci sono state consegnate nei giorni di Pasqua “, ovvero una settimana dopo la scoperta del focolaio, fa mettere a verbale un dipendente. E un altro suo collega aggiunge: “Non abbiamo fatto alcun corso di formazione e informazione sull’uso dei Dpi e sul tema Covid- 19. Ci fu raccomandato soltanto di cercare di distanziare gli ospiti quanto più possibile”.

Più o meno stessa situazione nella rssa Nuova Fenice di Noicattaro, dove fra il 28 marzo e il 4 aprile venivano diagnosticati 84 casi di cui 32 tra gli operatori e 52 tra gli ospiti. E sono stati alcuni dipendenti a raccontare come a febbraio e almeno fino alla prima metà di marzo gli anziani abbiamo vissuto in “situazioni di promiscuità ” senza indossare la mascherina, né durante la consumazione dei pasti né durante le attività ludico ricreative. Emblematico un episodio legato alla Festa del papà, quando gli ospiti, disabili e non, hanno partecipato nella sala comune alla preparazione delle zeppole. “Circostanza in cui, evidentemente, non era stato possibile rispettare il previsto distanziamento”.

L’inchiesta si basa anche su una consulenza che la Procura ha affidato al professore Silvio Tafuri. Una consulenza che ha permesso di accertare come, scrive l’esperto, il focolaio epidemico a diffusione esponenziale non sia stato bloccato da “interventi” specifici, ma per esaurimento dei soggetti più sensibili al virus. Una situazione verificatasi perché nessuno, fra i dirigenti della struttura, si è adoperato per evitare la diffusione del contagio.

“Dopo la scoperta del primo caso – sottolinea la Procura – sarebbero dovuto partire i provvedimenti di tracciamento, identificazione dei contatti, isolamento di operatori sanitari e ospiti, che non risultano evidentemente adottati. Questo non avrebbe evitato la generazione della seconda ondata di casi (diagnosticati fra il 4 e il 6 aprile), ma avrebbe interrotto la terza generazione di casi (quelli diagnosticati tra l’11 e il 16 aprile). Si può stimare che il numero di casi di Covid- 19 evitabili con appropriate azioni di contenimento risulti di 94”.

La richiesta del pm è stata respinta dal gip Marco Galesi. “Mancano accertamenti – rileva il giudice – che consentano di ritenere perduranti le carenze individuate in quel particolare periodo in cui l’emergenza sanitaria è esplosa all’interno delle Rssa. Anzi, da alcuni elementi probatori sembrerebbe possibile desumere il contrario e cioè che almeno per alcuni aspetti, come quelli riguardanti la fornitura dei Dpi, nel corso dell’emergenza vi sia stato un cambio di approccio “. La parola ora passa al Riesame.