Stamattina la Polizia di Stato ha eseguito un provvedimento cautelare emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bari, su richiesta di questa Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 3 persone ritenute responsabili dell’omicidio di Domenico Capriati, classe ’69, consumato al quartiere Japigia di Bari la sera del 21 novembre 2018.

Il Tribunale, in particolare, accogliendo in toto l’impianto accusatorio formulato dai magistrati di questa D.D.A., ha emesso un’ordinanza cautelare in carcere a carico di Domenico Monti, detto “Mimmo u’biund”, d62 anni, Christian De Tullio, detto “u’acidd”, 30enne, e Maurizio Larizzi, detto “u’guf”, di 38 anni, tutti censurati e ritenuti esponenti di primo piano della famiglia mafiosa dei “Capriati”, in particolare Monti e Larizzi.

Le indagini, delegate alla Sezione Criminalità Organizzata della Squadra Mobile della Questura di Bari, sono state avviate nelle fasi immediatamente successive all’evento delittuoso, e hanno consentito di determinare movente, mandante e autori dell’azione omicida, maturata nel contesto mafioso delle famiglie “Larizzi/Monti”.

I numerosi elementi acquisiti nel corso delle articolate indagini, hanno consentito di accertare che, a decretare la “condanna a morte” di Domenico Capriati – figura di vertice del sodalizio di tipo mafioso “Capriati” –, fosse stato l’emergente pregiudicato Maurizio Larizzi, intenzionato a liberarsi di un soggetto il quale, dopo l’uscita dal carcere, al termine di un lungo periodo di detenzione, era divenuto un ostacolo per lo sviluppo e la gestione dei propri illeciti interessi, legati soprattutto ai proventi derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti.

Domenico Capriati, a seguito di un lunghissimo periodo di carcerazione, nell’intenzione di riprendere un ruolo egemone nell’ambito del clan, stava tentando di riorganizzare le fila del sodalizio di appartenenza. In tale contesto, era entrato in contrasto con altri soggetti di spicco all’interno del clan (in particolare con Maurizio Larizzi Domenico Monti. Dal canto suo, anche Larizzi aveva iniziato a ritagliarsi spazi più ampi all’interno del sodalizio mafioso ed era determinato a contrastare le pretese di Domenico Capriati e la sua ri-ascesa criminale dopo la lunga carcerazione.

Dalle risultanze investigative, è emerso che a compiere l’azione di fuoco fu un commando armato guidato dal pluripregiudicato Domenico Monti, anch’egli tornato libero dopo oltre vent’anni di reclusione per reati di mafia ed anch’egli mosso da vecchie ruggini proprio nei confronti di Domenico Capriati. Per l’esecuzione dell’omicidio, Monti si avvalse della partecipazione del genero, Christian De Tullio, anch’egli censurato.

Monti e De Tullio. travisati e armati, attesero nascosti nel cortile condominiale dell’abitazione che Capriati giungesse dal Borgo Antico di Bari insieme al figlio e alla moglie a bordo della sua auto. De Tullio sparò nella sua direzione diversi colpi di arma da fuoco, utilizzando una pistola mitragliatrice cal. 7,65. Dato il tentativo di Domenico Capriati di sfuggire ai colpi di mitraglietta, cercando riparo nello stabile, Monti sparò a sua volta altri colpi di arma da fuoco, utilizzando una pistola cal. 9×21, colpendo la vittima al capo quando era ormai riversa a terra. Il giorno seguente Capriati morì in ospedale. L’omicidio fu stato commesso con le modalità tipiche dell’azione mafiosa, affinché fosse chiara a tutti la portata esemplare dell’azione criminale.

Non è stato semplice ricostruire dinamica, autori, mandanti e movente dell’omicidio, concretizzatosi in una vera decapitazione dello storico clan “Capriati”, uno stravolgimento degli equilibri della criminalità organizzata barese: l’accertamento dei fatti è stato ostacolato dal contesto profondamente omertoso e dalla forza intimidatrice esercitata dai protagonisti, personaggi di rilevante caratura criminale, come “Mimmo u’biund” e Maurizio Larizzi.

La piattaforma indiziaria a carico degli indagati è caratterizzata sia dalle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia che, soprattutto, dalle conversazioni dei familiari di Domenico Capriati, intercettate, e dalle conversazioni tra gli stessi indagati, alcune delle quali risultano essere autoaccusatorie.

Le concrete modalità della condotta e la sua progettazione in chiave punitiva, al fine di affermare l’egemonia criminale, previo studio accurato del modus operandi e dell’obiettivo da colpire ad opera dei sicari, hanno consentito di ritenere sussistente la circostanza aggravante contestata della premeditazione. Domenico Monti, Christian De Tullio e Maurizio Larizzi sono stati associati in carcere, a disposizione delle Autorità Giudiziarie procedenti. Larizzi era già detenuto per altri fatti.