A un dipendente della Barimultiservizi è stato erogato il provvedimento disciplinare della sospensione di 10 giorni dal lavoro, con relativa trattenuta sulla busta paga, e la preannunciata azione di rivalsa nei suoi confronti, al fine di recuperare i 16mila euro spesi per l’esecuzione del tampone ai dipendenti dopo la sua accertata positività. L’azienda contesta al lavoratore l’aver taciuto le sue condizioni di salute e aver così causato il contagio di altri colleghi, accuse tutte rispedite al mittente, tanto da aver presentato ricorso al Tribunale del lavoro per il tramite dell’avvocato Maria Antonietta Papadia. Ma facciamo un passo indietro.

Tutto nasce a metà ottobre, il 13 per l’esattezza, quando la figlia del dipendente, saputo di essere contatto stretto di un caso accertato di sars-cov2, viene posta in isolamento fiduciario dalla Asl, a casa, dove vive col padre e la madre. Il giorno seguente, sottoposta a tampone, risulta positiva. A quel punto, come da protocollo, anche i genitori vengono posti in isolamento fiduciario, circostanza riferita dal dipendente alla Barimultiservizi che per questo si assenta dal lavoro.

Due giorni dopo, il 17 ottobre, arriva l’esito positivo del tampone sia per il padre che per la madre. Entrambi i genitori, scriverà la Asl sulla comunicazione con cui il 29 ottobre attesta il termine della permanenza domiciliare fiduciaria, saranno asintomatici per tutto il periodo. Fin qui la cronaca dei fatti, come risulta dai documenti e dalla risposta inviata dal lavoratore all’azienda.

Secondo la Barimultiservizi, però, quanto dichiarato dal dipendente, e verrebbe da dire anche dalla Asl, non è sufficiente. La municipalizzata, infatti, contesta al lavoratore di aver occultato le sue condizioni di salute e di essersi recato al lavoro consapevole di accusare sintomi riconducibili al coronavirus, costringendo poi l’azienda a sostenere i costi per 124 tamponi, pari a 16mila euro, all’esito dei quali sono stati riscontrati 6 casi di contagio.

“Si è appreso – scrive la società nella lettera di erogazione del provvedimento disciplinare – che l’isolamento fiduciario di sua figlia, contrariamente a quanto affermato, era stato disposto antecedentemente a quello della sua comunicazione. Nonostante un suo stretto familiare convivente stesse manifestando sintomi ascrivibili al Covid 19, già nei 4 giorni antecedenti, alla luce delle sue dichiarazioni, e in isolamento fiduciario in epoca antecedente a quanto dichiarato, si è ugualmente recato in azienda, peraltro al fine di partecipare ad un corso di formazione, alla presenza di colleghi degli altri settori”.

“È emerso – aggiunge tra le altre cose la Barimultiservizi – che fin dall’inizio della settimana, stava occultando dei sintomi compatibili con il Covid 19 (sensazione di freddo, tosse, ecc.) nei giorni 12 – 13 e 14 ottobre.  Le giustificazioni fornite non appaiono idonee a far venir meno la fondatezza dell’addebito e al contrario confermano la rilevanza disciplinare della sua condotta. Pertanto le irroghiamo il provvedimento disciplinare della sospensione per 10 giorni dal servizio e dalla retribuzione”.

Come detto, il lavorate si è rivolto all’avvocato Maria Antonietta Papadia, che ha già presentato ricorso al Tribunale del Lavoro: “La società non individua quali siano le ragioni che pone alla base del provvedimento sanzionatorio, ma qualora le illazioni datoriali fossero fondate, avrebbero un importante riverbero sulla condotta datoriale prima ancora che su quella del lavoratore. Quest’ultimo ha avuto accesso in azienda, in tutti giorni precedenti
alla sua assenza, dopo il passaggio attraverso il termo scanner posto all’ingresso; qui è stata rilevata la temperatura corporea che evidentemente non era superiore a 37,5 gradi”.

“Il contagio di ulteriori dipendenti, che la società addebita alla presenza in azienda del lavoratore, sarebbe frutto di una mancata sorveglianza sul personale e sui luoghi di lavoro circa il rispetto delle norme anti contagio – evidenzia -, sorveglianza che spetta solo ed esclusivamente al datore. Se si vuole mantenere la tesi del contagio in azienda, la Società dovrà anche ammettere di non aver poste in essere tutte le misure idonee ad evitare il contagio stesso”.

“Evidentemente – sottolinea – non sarebbero stati utilizzati i dispositivi di protezione individuale o non sarebbe stato mantenuto il distanziamento sociale. Così ragionando si potrebbe facilmente ipotizzare che il dipendente sia stato contagiato in azienda e aver contagiato egli stesso la propria figlia. Se il datore di lavoro ritiene che nella propria azienda sia avvenuto il contagio, senza ovviamente poterne offrire prova, dovrà anche ritenere possibile che il contagio sia stato subito, piuttosto che innescato, dal ricorrente”.