I Carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Bari hanno eseguito questa mattina un provvedimento di confisca di beni per circa 3 milioni di euro nei confronti di un 67enne barese, già gravato da numerosi precedenti per contrabbando di tabacchi.

L’attività, stando al comunicato inviato dall’Ufficio stampa dei Carabinieri inviato alla nostra redazione, nasce da una lunga e meticolosa attività di ricostruzione della carriera criminale e – quindi – della connessa pericolosità sociale del proposto, attraverso la quale i militari hanno fatto emergere l’illecita provenienza degli ingenti beni che, già sequestrati nel mese di Gennaio 2019, sono ora stati definitivamente confiscati.

La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Bari ha infatti pienamente concordato con l’ipotesi investigativa formulata dai Carabinieri, emanando l’ordinanza con la quale è stata disposta la confisca dell’intero patrimonio di cui erano intestatari non soltanto l’ex contrabbandiere, ma anche i propri familiari.

Tra i beni confiscati vi sono ben tre unità immobiliari, tutte ubicate a Bari, dieci conti correnti ed una nota caffetteria sita nella centralissima via Calefati, Caffetteria del Marchese.

La complessa attività investigativa ha portato alla luce le modalità operative attraverso le quali il proposto – che sin dagli anni ’90 ha operato nel contrabbando di T.L.E. – ha, nel corso del tempo, provveduto a “ripulire” i proventi illeciti delle proprie attività delittuose.

La copiosa documentazione prodotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari ha evidenziato che l’ex contrabbandiere, anche attraverso l’interposizione dei suoi stretti congiunti, aveva riciclato i capitali illecitamente accumulati nell’acquisto di immobili e – soprattutto – nell’avviamento di un rinomato bar ubicato proprio nel centro della movida barese.

Si tratta del terzo bar che l’Arma di Bari sottopone a confisca, elemento che non fa che confermare quanta attenzione la criminalità organizzata riponga verso questo settore commerciale, dove proprio il ricorso all’utilizzo di danaro contante favorisce l’immissione sotto traccia, nel circuito legale, di proventi di illecita provenienza.