Carmela e Mary sono moglie e figlia di Giancarlo, uno dei 700 casi positivi al coronavirus di Gravina in Puglia. Giancarlo non aveva patologie pregresse, stava apparentemente bene, fin quando il 2 novembre inizia ad avvertire spossatezza e febbricola. Le due donne chiamano il 118 e sul posto arriva Francesco Papappicco con il suo equipaggio. Giancarlo ha una buona saturazione, parametri vitali nella norma, elettrocardiogramma negativo. Pochi sintomi insomma.

Il medico, dopo aver valutato attentamente la condizione clinica, d’accordo col paziente, moglie e due figlie, decide di lasciarlo a casa, calcolando il caos negli ospedali e la gran quantità di pazienti critici che in quei giorni rimanevano parcheggiati in ambulanza in attesa di essere accettati. Papappicco, però, consiglia alla famiglia di andare in ogni caso in pronto soccorso con mezzo proprio e in giornata, perché la sua convinzione è che Giancarlo sia stato contagiato dal covid. Qualche ora dopo, infatti, le donne accompagnano l’uomo in ospedale come suggerito loro dal medico di cui si sono fidate fin da subito.

Giancarlo risulta effettivamente positivo al tampone e resta in isolamento. Dopo un paio di giorni, un medico chiama Carmela e le dice che suo marito dovrà restare in ospedale il tempo necessario dato che anche una radiografia del torace conferma la polmonite da Covid. Solo due ore dopo, però, un altro medico dello stesso pronto soccorso chiama per dire che il 50enne sarebbe stato dimesso di lì a poco. La confusione si fa strada.

Giancarlo resta a casa tre giorni, le sue condizioni precipitano di ora in ora, fino a diventare preoccupanti. La famiglia decide così di richiamare il 118. I parametri vitali questa volta non sono affatto buoni e così il ricovero è l’unica soluzione. Perché è stato dimesso? Perché in quel pronto soccorso nessuno si è accorto che la situazione poteva precipitare? Sono alcune delle domande che Carmela e le sue figlie si sono fatte. Giancarlo è in coma da una settimana e quando hanno saputo della terapia col plasma iperimmune, madre e figlia hanno iniziato a interessarsene.

Hanno chiamato il centro trasfusionale del Policlinico, avendo letto dappertutto gli inviti fatti a quanti fossero guariti dal coronavirus: donate per dare ad altri maggiori chance di sopravvivere. “Non siete voi a doverci chiamare, ma i medici che hanno in cura suo padre”. La risposta gela Mary, che si attiva subito, ma resta incredula quando le viene detto che non c’è plasma, che potrebbe essere ormai troppo tardi per effettuare la terapia. In attesa dell’evolversi della situazione, abbiamo ascoltato Mary e Carmela, il racconto di quanto successo e le perplessità che le stanno facendo impazzire. Sulla questione, come detto, è intervenuto anche il medico del 118 Francesco Papappicco, che ai familiari oltre all’aiuto e ai preziosi consigli, ha inviato questo durissimo messaggio.

IL MESSAGGIO DEL MEDICO 118 –  Sono solo un medico che si vergogna per quello che state passando e per il fatto che ci hanno ridotti a lavorare male e a lottare per ogni singola situazione, riscoprendoci sempre più impotenti seppur competenti. Mi vergogno perché noi del 118 siamo vilipesi e gettati nella mischia degli irresponsabili, alla stregua della ciurmaglia di manager e dirigenti che tenta di togliere dignità al nostro operato.

Mi vergogno di arrivare a pensare strategie e sotterfugi per poter far ricoverare i malati. Mi vergogno perché vorremmo fare meglio e di più e non ce lo permettono. Mi vergogno per quelli che vergogna non hanno e al posto di mantener fede al giuramento e ai doveri umani e morali prima che professionali, preferiscono la roccaforte dell’indifferenza, degli interessi e dello stato d’eccezione per giustificare l’ennesimo misfatto.

Fortuna e virtute diceva Machiavelli. Beh qui la fortuna è avversa e la virtute dei tanti che operano in silenzio è soverchiata dai tromboni da propaganda che fanno della promessa professione. Quando ho visitato la prima volta Giancarlo ho sospettato subito che potesse trattarsi di Covid. Tuttavia saturava bene ed era solo fortemente astemio e ipoteso.

Da giorni presentava febbricola senza sintomi respiratori di sorta. Erano giorni campali per noi del 118 come ormai accade da settimane e non era ipotizzabile portarlo con quei parametri in PS dato che lottiamo ogni giorno pure per far accettare i pazienti critici che per ore rimangono in ambulanza. Ad ogni modo d’accordo con la moglie e le figlie siamo riusciti a farlo ricoverare ugualmente in PS. In giornata la conferma della positività al Covid e della polmonite alla radiografia del torace. Sono rimasto in contatto con le figlie e la moglie di Giancarlo, suggerendo la possibilità del plasma iperimmune. Donatori ne abbiamo, ma il muro della burocrazia e degli interessi è un bastione troppo irto e scabroso a confronto di una soluzione così semplice, sicura ma soprattutto meno costosa rispetto al capitalismo pandemico. Si, perché la pandemia è una sporca moneta a due facce.