Signor Presidente, autorità civili, militari e religiose,
benvenuti alla 84ma edizione della Fiera del Levante.

A questo tempo così strano anche la nostra cara vecchia Fiera del Levante si è dovuta adeguare e, per la prima volta, quello che per tutti è sempre stato l’appuntamento che ha segnato la ripresa delle attività economiche e politiche, dopo la pausa estiva, oggi assume un significato diverso. Forse ancor più importante.

Pensate, sono state annullate le Olimpiadi, gli Europei di calcio, la festa di Halloween, il Carnevale di Rio, la maratona di New York. La Fiera del Levante no.

La Fiera del Levante resiste. Mette la mascherina, rispetta le prescrizioni e riapre. Riapriamo la Fiera del Levante perché è molto più di una campionaria. La Fiera del Levante è il simbolo della nostra caparbietà, della nostra tenacia, del nostro coraggio. E il coraggio non può chiudere, nemmeno oggi. Anzi, soprattutto oggi.

Riapriamo la Fiera perché in questa città, in questa regione abbiamo già dimostrato che possiamo adattarci, ma non possiamo arrenderci. Presidente, Bari non vuole arrendersi, la Puglia non vuole arrendersi, il Sud non vuole arrendersi!

Ed eccoci qui, in questa specie di inaugurazione a distanza.

A distanza, come siamo stati in questi mesi durante le riunioni istituzionali, nelle conferenze stampa, nelle dirette social per cercare di spiegare ai cittadini cosa stava succedendo.
A distanza, come ci hanno detto che dobbiamo stare per non contagiarci e per cercare di fermare questo virus, senza poterci abbracciare né stringerci la mano.
A distanza, come tutte quelle bambine e bambini che hanno dovuto scoprire cosa significhi vedere per settimane i propri compagni e i propri insegnanti al di là di uno schermo. E dietro quello schermo hanno imparato l’italiano e la matematica, hanno sostenuto le interrogazioni.

A distanza hanno dovuto imparare a vivere una vita nuova. E noi insieme a loro. A volte sorridendo, a volte lamentandoci, ma dimostrando la forza e lo spirito di un grande Paese, unito e solidale. Un Paese capace di fare sacrifici, di soffrire, ma anche in grado di rialzarsi con coraggio.

“Sembrava la fine, ma siamo ancora qua, con il cuore che batte più forte”. È un verso di una canzone di Vasco Rossi che le maestre della scuola elementare “Gabelli” di Bari hanno voluto scrivere su un cartellone per accogliere i bambini il primo giorno di scuola. Il primo giorno di scuola VERA, dopo otto mesi di distanza da quelle aule. Leggendo quella frase, così semplice e diretta ma così piena di significato, mi sono passate davanti agli occhi centinaia di immagini vissute negli ultimi mesi: bambini, adulti, famiglie separate da un pianerottolo o da migliaia di chilometri, saracinesche abbassate, strade deserte, notti e giorni silenziosi, squarciati soltanto dal suono angosciante delle sirene delle ambulanze. Le immagini di un Paese che ha avuto paura di dover scrivere la parola fine. Un Paese che invece è ancora qua. “Con il cuore che batte più forte”, come direbbe Vasco Rossi. E come dicono gli insegnanti, le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi delle nostre scuole. A loro va il nostro saluto, il nostro incoraggiamento e il nostro affetto.

Noi insieme a loro siamo ancora qua, con il cuore che batte più forte e con il coraggio di chi sta provando a rialzarsi. Consapevoli di dover affrontare mesi complicati, ma consapevoli anche di poterlo fare bene, se sapremo agire uniti, con responsabilità, determinazione e serietà, come è già avvenuto nella scorsa primavera.

La serietà. Sembra una parola d’altri tempi. E invece è una parola bellissima, una parola attualissima. Secondo il dizionario, per serietà si intende “la consapevolezza della propria dignità, che si traduce in compostezza di atteggiamenti, nel senso di responsabilità e del dovere”.

Una parola straordinariamente efficace, soprattutto se a pronunciarla sono le persone serie. Qualche giorno fa, il primo ministro britannico ha detto che in Inghilterra ci sono stati più contagi che in Italia perché gli inglesi amano la libertà più degli italiani. Il presidente Mattarella gli ha risposto che noi italiani amiamo la libertà, ma anche la serietà.

Una risposta che sovverte decenni di preconcetti che ci hanno dipinto come un popolo di improvvisatori e di ciarlatani. Grazie, presidente Mattarella, la serietà e il rispetto con cui Lei rappresenta il nostro Paese ci rende ogni giorno orgogliosi di essere italiani! Grazie, presidente Mattarella, perché Lei è una persona seria e siamo fieri di essere rappresentati da Lei. Con rispetto, caro primo ministro Johnson, l’Italia è un paese serio, l’ha dimostrato e lo sta dimostrando ancora.

Proviamo a dimostrarlo anche noi sindaci, nel nostro piccolo, cercando sempre di interpretare con la massima serietà il ruolo che i cittadini ci hanno consegnato. Lo abbiamo fatto in questi mesi difficili, con il cuore e con la testa, con passione e con coraggio.

Qualcuno starà pensando ai video che mi riprendono mentre allontano da un parco i ragazzi stesi su un prato o in spiaggia a prendere il sole. Qualcun altro ripenserà alle parole del sindaco di Lucera nel dialetto del suo paese o a quello di Modica che minaccia i suoi concittadini.

È vero, forse qualche volta siamo stati sopra le righe. Ma credetemi, credeteci, tutto quello che abbiamo fatto è stato per salvaguardare la salute dei nostri concittadini. Ognuno di noi, con i suoi mezzi, ha provato in tutti i modi a proteggere la propria comunità, a convincerla di essere di fronte a un pericolo grande e sconosciuto e ad affrontarlo nel modo più corretto.

E ognuno di noi, insieme ai presidenti di Regione e al Governo, ci prova ancora, ogni giorno, con grande fatica. Proviamo insieme a rappresentare un riferimento, una guida, una protezione per i cittadini in difficoltà.

I sindaci sono stati gli unici che, forse per la prima volta nella storia della Repubblica, hanno ceduto un potere che era nella loro competenza e disponibilità. Erano le prime settimane di marzo e con una lettera dell’Associazione nazionale dei Comuni al presidente Conte abbiamo rimesso nelle mani del Governo il potere di autorità sanitaria locale, sospendendo qualsiasi ordinanza in tema di contrasto al virus.

Avremmo potuto non farlo. Avremmo potuto anzi rivendicare con più forza quel potere. Un potere che dà visibilità e prestigio, soprattutto in un periodo di crisi sociale e sanitaria come quello. Ma mi hanno insegnato che la guida di una comunità, dalla più piccola alla più grande, non è una gara a chi viene inquadrato di più dalle tivù, non è una rincorsa al tweet più efficace, o al post che totalizza più like.

Dovevamo salvare il Paese, non metterci in posa per un poster da campagna elettorale. E per salvare il Paese in quel momento avevamo un solo modo: fare ciascuno un passo indietro, per fare un passo avanti tutti insieme.

Perché noi amiamo la libertà ma amiamo anche la serietà. La serietà è capire che il tuo avversario, in quel momento, non è il politico che sta dall’altra parte. L’avversario è una pandemia devastante. La serietà è capire che non batti una pandemia con uno stratagemma comunicativo ma con una azione uniforme su tutto il territorio nazionale. Perché il virus non conosce confini amministrativi e non saremmo certamente riusciti a contrastarlo con 8.000 ordinanze diverse da Comune a Comune.

Siamo sempre stati in prima linea quando il Paese ha avuto bisogno di noi, ci siamo preoccupati della salute dei nostri concittadini, ci siamo adoperati affinché tutti avessero un piatto caldo da mettere in tavola per i propri figli, siamo stati pronti a gestire e semplificare le vite di chi era costretto in casa dalla quarantena o dalla malattia. Abbiamo organizzato una squadra incredibile di volontari, il cuore pulsante della nostra comunità. A Bari erano 700 e a tutti loro voglio mandare un abbraccio simbolico.

Avete insegnato a tutti noi cosa vuol dire mettere da parte lamentele e polemiche. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, vi siete spaccati la schiena in un lavoro incessante, per organizzare le risorse, riempire pacchi, smistarli, girare per la città, consegnare provviste a tutti, nelle condizioni più difficili. E poi ascoltare le persone disperate, parlare con loro, consolarle, ridare loro la dignità, che è importante quanto il pane, a volte più del pane. E tutto questo, sempre, con il sorriso sulle labbra. Il sorriso fiero di chi sa che sta facendo il bene della propria comunità. La città di Bari vi sarà grata per sempre!

Così come i sindaci non si sono tirati indietro quando il presidente del Consiglio ci ha chiamati per la gestione dei fondi per le famiglie in difficoltà. Nel giro di qualche giorno abbiamo organizzato uffici e procedure, mettendo in campo una macchina degli aiuti efficiente e tempestiva. Nessuno meglio di noi poteva conoscere dove la paura e le difficoltà avrebbero più colpito e lì siamo intervenuti, tendendo la mano a chi aveva bisogno.

Noi sindaci abbiamo pianto i nostri morti e consolato le famiglie che a distanza hanno dovuto dire addio ai loro congiunti, abbiamo collaborato con Regioni e Governo sulle azioni da intraprendere nei mesi di lockdown e, nel frattempo, abbiamo lavorato per programmare la ripresa. È stato difficile e doloroso, perché abbiamo dovuto cambiare completamente il nostro punto di vista.

Perché dopo aver lavorato per anni, con fatica, per favorire la socialità, per avvicinare i cittadini gli uni agli altri, per creare punti di aggregazione – piazze, giardini, parchi – che stimolassero il nostro senso di comunità, improvvisamente, da un giorno all’altro, ci siamo ritrovati a considerare ogni gruppo di persone, ogni incontro, ogni occasione di vita sociale come un potenziale pericolo per la salute. È stata una vera e propria rivoluzione culturale in negativo. E avrebbe potuto paralizzarci. Invece ci siamo adattati e siamo andati avanti. Con serietà, appunto.

Abbiamo aiutato i nostri commercianti a rialzare le saracinesche e i ristoratori a gestire le loro attività, dando loro più spazio e più fiducia. Servivano 7 procedimenti amministrativi per mettere i tavolini all’esterno ora basta una semplice autodichiarazione.

Abbiamo cambiato il paradigma delle nostre politiche urbane di mobilità ribaltando il concetto di movimento. In pochi mesi abbiamo riorganizzato il sistema del trasporto pubblico urbano e progettato spazi e modi per spostarci in sicurezza.

Qui a Bari abbiamo varato il programma Bari Open Space, 30 interventi per restituire ai cittadini la libertà di muoversi, di vivere, di tornare a riconquistare il proprio spazio nel rispetto delle prescrizioni che le autorità sanitarie ci hanno imposto. Abbiamo spostato le automobili per lasciare spazio alle biciclette, abbiamo convinto le grandi aziende del settore della mobilità elettrica a venire ad investire a Bari con il servizio di monopattino sharing: è vero dobbiamo fare i conti con la furbizia e l’idiozia di qualcuno, certamente. Ma noi non ci arrendiamo perché mai più un cittadino dovrà dire: “Queste cose a Bari non si possono fare”.

A Bari non solo si possono fare, ma si devono fare. Questa è la nostra idea di governo e di serietà, perché non abbiamo niente da invidiare a qualsiasi altra città d’Italia e se ci sarà da faticare di più o da sanzionare i comportamenti sbagliati noi lo faremo, perché la fatica non ci ha mai fermato e le regole non ci hanno mai spaventato.

Insomma, nel momento in cui tutti si aspettavano che avremmo abbassato la testa e saremmo tornati indietro, noi la testa l’abbiamo alzata e siamo andati avanti.

E continueremo ad andare avanti nei prossimi mesi, con serietà e determinazione, con la fiducia nelle autorità sanitarie e lo spirito collaborativo di sempre nei confronti di tutte le istituzioni.

“Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”. Questa frase di Enrico Berlinguer è stata per me una guida in questi mesi, e spero sia d’ispirazione per tutti noi che d’ora in avanti saremo impegnati in una sfida ancora più complicata della precedente: proporre al Paese un modello di convivenza con il virus che tuteli la salute pubblica attraverso la definizione di nuovi modelli di vita, pubblici e privati, elaborando protocolli e procedure che siano chiare, tempestive ed efficaci. Ce l’abbiamo fatta quando tutto intorno era buio e spento, ce la faremo anche oggi che abbiamo riacceso le luci del nostro Paese.

Per questo nelle scorse settimane tutti i sindaci italiani hanno lavorato ad una proposta per l’utilizzo di quelle risorse che, grazie a Lei Signor Presidente del Consiglio, alla sua tenacia in sede europea, siamo riusciti a far destinare al nostro Paese. La abbiamo elaborata perché siamo consapevoli che il rilancio economico e sociale non può che passare dal sistema di competenze e funzioni strategiche presenti nelle città, perché qui, nelle città ci sono le istituzioni di prossimità.

Ma pur essendo l’Italia dei campanili, quella fiera delle sue tantissime, diversissime comunità, oggi più che mai rifiutiamo la logica, delle divisioni e dell’egoismo. Perché c’è un passato, nemmeno troppo remoto, fatto di macerie fisiche e morali, di guerre atroci, di persecuzioni, di conflitti etnici e genocidi. E nessun negazionista potrà cancellarlo dalle rughe dei nostri padri, dai racconti dei nostri nonni. Per questo siamo e ci dichiariamo ostinatamente cittadini europei. Fieri cittadini di un’Europa di libertà, democrazia, pace e progresso.

Questo è il nostro dovere, dimostrare di essere l’Italia europeista, moderna, che guida la ripresa, l’Italia che con serietà indica la strada da intraprendere, come abbiamo fatto qualche mese fa nella gestione dell’emergenza sanitaria. E oggi tutto il mondo ce lo riconosce, dall’Organizzazione mondiale della Sanità, ad Angela Merkel, proprio qualche giorno fa.

Per questo abbiamo portato all’attenzione del governo la nostra proposta. Si chiama Città – Italia. Sono 10 punti programmatici scritti in modo molto semplice per arrivare dritti allo scopo. Cioè trasformare le ingenti risorse che l’Europa ci mette a disposizione, in servizi utili a migliorare la vita dei cittadini di tutte le città italiane, dai Comuni più piccoli alle grandi metropoli, dalle periferie ai distretti industriali; dalle piccole imprese agricole delle aree interne alle scuole delle zone meno sviluppate.

Detta così potrebbe apparire una cosa scontata. Non lo è affatto. Oggi, al di là di ogni retorica, siamo davvero di fronte ad un bivio. Se sbaglieremo a cogliere l’enorme opportunità dei fondi del Recovery Plan non potremo più tornare indietro. E nei cittadini resterà la convinzione che l’Europa sia davvero quella istituzione litigiosa, lenta e indifferente ai bisogni del popolo che alcuni artificiosamente provano a raccontare. Se invece sapremo sfruttare questa occasione per fare realmente gli interessi dei cittadini, per rilanciare l’economia, per migliorare la sanità, forse potremo invertire per sempre quella narrazione. La parola Europa potrà entrare nelle case degli italiani come sinonimo di cura, di protezione, di prosperità e di pace. E quella bandiera blu con le dodici stelle gialle, forse, la sentiremo un po’ più nostra.

Noi sindaci abbiamo proposto i 10 punti per l’Italia Covid Free. 10 punti che, grazie all’interlocuzione con il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei, abbiamo già ritrovato nelle linee guida che ci sono state presentate dal Governo.

Tra questi, un ambizioso Piano nazionale per la mobilità sostenibile nelle aree urbane. Un servizio di trasporto pubblico efficiente e un sistema articolato di servizi a domanda di micro-mobilità, biciclette e altri mezzi non inquinanti.

Poi un piano per la digitalizzazione capillare del Paese. Tutti, e dico tutti i Comuni del nostro Paese devono essere raggiunti dalla banda larga. Non è più tollerabile che nel 2020 ci siano bambini che non hanno potuto assistere ad una lezione del loro insegnante perché non hanno accesso a una connessione. Signor Presidente, un luogo in cui non arriva la scuola è un luogo in cui non arriva lo Stato. E questo pensiero non deve farci dormire la notte.

E se il discorso vale per le famiglie, a maggior ragione vale per le aziende. Il primo sito internet italiano, quello del CNR, compie a dicembre 33 anni. Com’è possibile immaginare oggi che ci siano aziende senza una connessione veloce alla rete? Ci riempiamo la bocca della parola “competitività” ma come si fa a competere se i nostri migliori cervelli sono costretti a fare i conti con infrastrutture tecnologiche obsolete? Anche Lewis Hamilton avrebbe difficoltà a competere se guidasse una Duna.

Noi sindaci chiediamo di occuparci di questo: di scuola, di sicurezza degli edifici scolastici, di un piano per l’edilizia abitativa come strumento di contrasto alle povertà e di sostegno alle famiglie.

Chiediamo di diventare protagonisti della rinascita di questo Paese perché questo virus ha piegato le nostre città e noi sappiamo come renderle più sicure e più vivibili. Se qualcuno pensa che la sicurezza di una città si tuteli togliendo le coperte di dosso a un povero clochard per allontanarlo dalla vista dei cittadini, non ha capito niente. Questa ostentazione di cinismo e cattiveria non rende una città più sicura, ma solo più egoista. E le comunità, di egoismo muoiono.

Noi abbiamo un’altra idea di sicurezza. Sicurezza è riaccendere le luci nelle strade e nei parchi, per farli vivere anche di notte, per farci andare le famiglie, farci giocare i bambini. Sicurezza è far riaprire i bar e i negozi. Sicurezza è smettere di chiamare certi quartieri “periferie” perché sono città anche loro, se cominciano a offrire servizi e opportunità di lavoro.

Le grandi aree urbane sono un altro nodo chiave per il Paese. E noi siamo pronti a firmare un nuovo patto per lo sviluppo delle città metropolitane che individua opere e investimenti strategici su cui premere l’acceleratore per rimettere in moto il Paese e restituire fiducia ai cittadini.

Su questo, permettetemi di farmi portavoce di una questione che sta molto a cuore alla città di Bari. Non al sindaco di Bari, vorrei sottolinearlo, ma alla città di Bari e al suo distretto giudiziario. Perché il nuovo polo della giustizia barese non è una questione che riguarda il destino dei singoli (magistrati; avvocati) ma è una questione che riguarda il futuro di una intera comunità metropolitana.

Ieri abbiamo avuto finalmente una buona notizia, e di questo ringrazio il Ministro Bonafede, ma vorremmo procedere celermente sulla strada della concretezza e della semplificazione.

Anche in questo caso, noi abbiamo fatto la nostra parte. Abbiamo individuato le aree, abbiamo trovato i fondi per finanziare lo studio di fattibilità, abbiamo cercato di coordinare tutti i soggetti coinvolti definendo un’unica soluzione, abbiamo dato un contributo a superare la fase delle tende e dell’emergenza. Ora non chiediamo corsie preferenziali, non chiediamo favori. Chiediamo ad alta voce che la questione del polo giudiziario di Bari sia considerata una urgenza improrogabile di questo Paese. Non può continuare cosi.

Perché senza luoghi e modalità di lavoro che rispettino la dignità di giudici, avvocati, operatori della giustizia, non esiste futuro per una comunità. Non esiste futuro e non esiste giustizia. Da anni, qui a Bari, stiamo consumando, giorno dopo giorno, la fiducia dei cittadini nel diritto a una giustizia giusta.

Queste sono alcune delle questioni da cui i sindaci e i Comuni vogliono ricominciare a fare sistema e a fare Paese, perché se è vero che in questa nuova fase, Fase 3 l’hanno chiamata, uno vale uno e ognuno di noi, con le sue scelte e i suoi comportamenti, è responsabile per se stesso e per gli altri, noi sappiamo bene che il nostro orizzonte, l’orizzonte delle istituzioni, deve essere invece sempre quello collettivo, quello della comunità, quello che si raggiunge se si lavora insieme, con responsabilità e serietà.

È vero, noi sindaci siamo l’ultimo anello della catena istituzionale. Ma siamo anche il primo punto di riferimento per i cittadini. Quelli che ci salutano per strada, quelli che ci aspettano nel portone del Comune, quelli che ci scrivono sui social. Quelli che consegnano nelle nostre mani con fiducia le loro paure e le loro speranze. Ebbene, questa fiducia dei cittadini è un bene inestimabile che va custodito e protetto. E l’unico modo per farlo è dare risposte, prendere decisioni, attuare progetti, governare le nostre città. Quando non lo facciamo, quando promettiamo e non manteniamo, quando ci accontentiamo degli slogan, i cittadini se ne accorgono e la loro fiducia in noi crolla.

I cittadini non scelgono gli spot elettorali, i presunti guru, le risposte più efficaci nei talk show. I cittadini scelgono gli amministratori che governano bene, che propongono politiche in grado di cambiare davvero in meglio la loro vita. Questo, a mio parere, è quello che è successo ancora una volta pochi giorni fa in Puglia con il voto per l’elezione del nuovo governo regionale.

Permettetemi di mandare un saluto a Raffaele Fitto. Gli auguro una pronta guarigione e che possa affrontare serenamente questo periodo in un clima di rispetto e solidarietà. Al contempo faccio gli auguri di buon lavoro a Michele Emiliano e al nuovo Consiglio regionale. Buon lavoro Presidente! La città di Bari continuerà a collaborare insieme a te e alla tua nuova giunta e agli altri Comuni pugliesi. Tutti insieme. Perché siamo un’unica storia e un unico popolo.

Di questa storia fanno parte tante donne e tanti uomini, tanti sono ancora qui con noi. Altri purtroppo non ci sono più. Ma io preferisco pensare che abbiano soltanto cambiato il punto di vista. Ora ci guardano dall’alto, per poterci guidare meglio.

Questa storia è un patrimonio da custodire e da valorizzare. È una storia di tutti. E noi umilmente vogliamo metterla a servizio di tutto il Paese perché da questo appuntamento, qui, dalla Fiera del Levante di Bari, seppure con la mascherina, seppure col distanziamento, sì da qui, dal Sud possa partire un nuovo cammino di sviluppo, di salute e di speranza. Perché, prendendo in prestito uno slogan di questa ultima campagna elettorale io voglio dire con forza che la Puglia ce la fa. Che il Sud ce la fa. Che l’Italia ce la fa!

L’Italia ce la fa se stiamo insieme, se lavoriamo con serietà e determinazione, se abbiamo fiducia nella scienza. L’Italia ce la fa se impariamo a riconoscere un sorriso dietro una mascherina, se impariamo a capire che rispettare le regole di questo strano presente, vuol dire salvare la vita al nostro futuro. L’Italia ce la fa se impariamo a capire che rinunciando a una stretta di mano oggi, potremo abbracciarci più forte domani!

Buona Fiera del Levante a tutti e buon lavoro a noi!