“Caro Presidente Emiliano, volevo ringraziare qui pubblicamente il reparto di pneumologia del Policlinico di Bari, per non aver curato, accudito e completamente trascurato ledendo la dignità di un essere umano, nonché malato. Per fortuna siamo riusciti a far scappare il nostro caro per permettergli di vivere le sue ultime ore con l’affetto e il calore della famiglia”. Inizia così il post sulla bacheca facebook del Governatore pugliese, Michele Emiliano, pubblicato dalla figlia di un paziente anziano, deceduto a casa dopo essere stato ricoverato una ventina di giorni in condizioni che la famiglia definisce scandalose.

“Abbiamo portato mio padre in sala rossa al pronto soccorso con un codice importante – racconta al telefono l’altra figlia, che per inciso ha competenze sanitarie – un paziente di 80 anni, un arto amputato, parliamo di un invalido, accudito a casa da una badante, con il quadro clinico compromesso. La sua situazione è stata definita subito seria, da lì è stato ricoverato in pneumologia al primo piano di Asclepios, in quella che chiamavano zona grigia durante l’emergenza coronavirus per intenderci. Il covid hospital era già stato chiuso”.

“Da lì è iniziato il calvario di mio padre – prosegue amaramente la figlia -. Presentando inizialmente stati soporosi, per via dell’acidosi metabolica, aveva dei momenti di confusione, non era sempre lucido; quando ha iniziato a riprendersi, ci ha telefonato implorando che lo andassimo a prendere. Non mi lavano, ci diceva, non mi puliscono, mi hanno fatto un sequestro di persona. Tutto questo è successo durante la prima settimana di ricovero, dopo di che non lo abbiamo più sentito”.

“Preoccupati abbiamo cercato capire cosa stesse succedendo, ma ci era stato detto di chiamare solo ed esclusivamente alle 18 di ogni giorno per avere informazioni, e non ci rispondevano al telefono, abbiamo anche dovuto chiamare i Carabinieri, né tanto meno ci facevano entrare per vederlo, a causa del pericolo coronavirus. Abbiamo persino fatto i test ematici e siamo risultati negativi, ma non c’è stato verso di poterlo vedere” sottolinea.

Intanto i giorni passano: “In camera con mio padre era ricoverato un paziente più presente di lui, quando ha risposto a una nostra telefonata, mettendoci in allarme, è stato redarguito. Gli hanno detto di non caricargli il cellulare, di non metterglielo vicino e di non risponderci. Avendo medici in famiglia, in reparto è arrivata la chiamata di questo nostro parente, preoccupato, lamentando una serie di problematiche. La telefonata non è stata presa affatto bene”.

“Insomma, abbiamo esercitato un po’ di pressioni – ammette -, riuscendo così a ottenere il permesso di far entrare un parente. Non abbiamo il personale per la sanificazione, ci hanno detto. Quando finalmente una mattina è entrata la badante, ha scoperto che gli avevano tolto il cellulare e ha trovato mio padre legato al letto con delle lenzuola, perché doveva ventilare hanno detto. Lo stesso pomeriggio ci siamo precipitati in ospedale”.

“Siamo arrivati con le bardature per poter entrare, ci siamo organizzati con l’ossigeno a casa e abbiamo organizzato tutto per portacelo via. Siamo tornati a prenderlo, ho tagliato il nastro adesivo con le forbici, slegato le lenzuola e l’abbiamo messo sull’ambulanza. Era pieno di liquidi, gonfio, per via dei suoi problemi ai reni e forse delle flebo a cui era stato attaccato. Pur nella gravità delle sue condizioni, ha fatto capire chiaramente che voleva andare via. A casa – conclude la figlia – la prima cosa che ha è chiesto è stata mangiare e bere. Papà è morto circondato dall’affetto dei suoi cari e non da solo in ospedale”. Siamo disposizione del Policlinico per qualunque chiarimento volesse fornire l’azienda ospedaliera.