Francesco Maria Esposito, architetto e presidente onorario di World – Law, Economics & Architecture, alcune settimane fa ha scritto una lettera aperta al premier Conte e al ministro della Salute Speranza, esortandoli a passare dalle “cure tardive in ospedale” alle “cure precoci a casa”. Oggi racconta la testimonianza di una donna barese che ha perso il compagno a fine marzo e che, solo dopo tante insistenze ha potuto fare il tampone. In questi giorni, circa due mesi dopo l’inizio del calvario, è risultata positiva.

LA TESTIMONIANZA – Questa è la storia vera di Anna (nome di fantasia), distinta signora barese di 58 anni. Può essere la storia dolorosa di un italiano qualunque, che ha toccato con mano quanto sia spietato il “coronavirus”. Anna vive una tragedia, ma non molla. Il suo compagno a metà marzo ha tutti i sintomi e sta malissimo. Dopo alcune segnalazioni giunge a casa l’ambulanza. “I sanitari visitano il mio compagno – spiega Anna -, ma ritengono che non abbia l’infezione, non fanno il tampone e vanno via e allora una nuova sequela di telefonate. Dopo qualche giorno ritorna l’ambulanza, sembra un film con l’identico copione: controllano, ma ritengono che non abbia l’infezione, non fanno il tampone e vanno via”.

Le condizioni del compagno di Anna peggiorano velocemente. Dopo altre telefonate, arriva per la terza volta l’ambulanza del 118, viene ricoverato, ma ormai è troppo tardi e a fine marzo il compagno di Anna muore. La donna è delusa, affranta, distrutta, si sente impotente. “Lui è volato in cielo – dice -. Ho dovuto lottare col mio tormento e la mia quarantena, in una solitudine irreale, ancora una volta senza soccorsi. Ho constatato una disumanità organizzativa. Non parlo dei medici, ovviamente non mi riferisco a loro. Parlo di un sistema che ti fa chiamare sconosciuti al telefono, persone che mettono pure in dubbio il fatto che tu stia male davvero, come se uno si divertisse a telefonare, o che non fosse capace di capire i suoi sintomi. Mi riferisco come ovvio all’esperienza vissuta dal mio compagno, perché io sono asintomatica. Non tocca a me giudicare, ma i fatti sono questi: un’esperienza terribile”.

FINE DELLA QUARANTENA SENZA TAMPONE – Senza sintomi, Anna per le leggi dello Stato ha finito la sua quarantena nei primissimi giorni di aprile. Come molti di noi, però, ha intuito che i conti non tornano. Sebbene siano trascorsi quasi due mesi dall’inizio della sua quarantena, ha il dubbio che possa essere positiva e non vuole danneggiare gli altri. Continua a telefonare per farsi sottoporre al “tampone”, ma gli uffici la rimandano ad altri numeri. Disperata e arrabbiata chiama direttamente il numero del presidente della Regione Puglia, lo stesso che Michele Emiliano diffonde invitando i pugliesi a contattarlo direttamente.

LA CHIAMATA A EMILIANO E L’ESITO DEL TAMPONE – “Emiliano mi ha ascoltato e si è preso anche i miei dati, spiega Anna -. Nel frattempo, incoraggiata e spinta dal mio datore di lavoro preoccupato per me e per la sicurezza di tutti gli altri colleghi, ho insistito insieme a lui con il mio medico curante affinché inoltrasse una email. Dovevo fare il tampone. Finalmente, solo 6 giorni fa è arrivata la telefonata con l’appuntamento. Un’odissea per il diritto al tampone. E ieri, dopo quasi 60 giorni dall’inizio della mia quarantena, senza aver mai saputo se avessi o no contratto l’infezione, mi hanno detto che sono positiva al coronavirus. In realtà il referto è del 6 maggio, ma mi hanno telefonato solo l’8. E questo è il primo tampone che mi hanno fatto. C’è scritto: Esito positivo; Sintomatico: no; Ripetizione: dato non disponibile (ovviamente). Se io e il mio datore di lavoro non avessimo insistito sarei tornata in azienda come una mina vagante. E per quello che prevede il decreto, poiché ero solo stata in quarantena ma non mi avevano fatto un tampone che attestasse la positività, il mio datore di lavoro non aveva nessun obbligo di chiedermi di sottopormi al test. Ma vi assicuro che riuscire a farsi fare un tampone è difficilissimo. Questo è assurdo, e lo dico nell’interesse di tutti”.

LA FASE 2 – Dopo l’ultimo decreto, poiché la sua quarantena era finita da oltre un mese, come chiunque altro Anna ha rivisto alcuni congiunti: una sorella, una cognata coi bambini, la mamma e i due figli che le hanno portato conforto per la morte del suo compagno. Ma ieri mattina, molte delle persone da lei incontrate negli ultimi giorni sono dovute andare a fare il tampone. “Perché poi quando partono le responsabilità – dice Anna – il sistema si sveglia e mette in campo un’organizzazione diversa. Il mio compagno sarebbe potuto essere vivo e i miei congiunti potevano stare tranquilli. Invece loro sono andati in lacrime in ospedale e io mi sento responsabile di tutto questo”. La testimonianza di Anna è preziosa, perché conferma quanto denunciato da molti.

IL SISTEMA DEI 14 GIORNI IN QUARANTENA È UNA BOMBA A OROLOGERIA – “Ho perso l’amore della mia vita e piango perché oggi poteva essere con me – spiega in lacrime. Non lo auguro a nessuno, ma se doveste avere i sintomi pretendete di avere subito a casa le medicine, oppure che vi vengano a prendere immediatamente, chiamate i Carabinieri o andate al pronto soccorso, ma non aspettate che vi lascino morire a casa, perché il diritto alla vita non ce lo deve togliere nessuno, e guardate che più la malattia si aggrava e meno possibilità avete di rimanere vivi. E voglio anche dire a tutti, anche a Emiliano (ringraziandolo per avermi ascoltato) e a qualche politico nazionale o a qualche giornalista attento a cui spero arrivi la mia triste storia, che il “sistema dei 14 giorni in quarantena” senza tampone di verifica è una bomba a orologeria basato su niente ed è assurdo che un comitato scientifico pagato per fare il comitato scientifico di una pandemia non abbia compreso questo. Se ci sono responsabilità che la magistratura faccia il suo dovere e reindirizzi le scelte del Governo e del ministero della Salute su una prevenzione vera. Il sistema della quarantena di 14 giorni mette a rischio tutta la società e tutti gli sforzi fatti finora. Se dopo circa 60 giorni dall’inizio della quarantena io sono positiva è ipotizzabile che io sia l’unico caso in Italia oppure che il fenomeno sia più diffuso di quanto sappiamo? Non vinceremo questa battaglia senza tamponi. Io la mia battaglia l’ho persa, sono distrutta, ma voi potete ancora vincerla. Rispettate tutte le regole perché ci sono molti asintomatici ignari di essere positivi come lo ero io. Le regole si rispettano con le distanze anche oltre i 3 metri, con l’uso delle mascherine sempre, anche per strada, con l’igiene, restando a casa il più possibile. Ma se vi ammalate difendete il vostro diritto all’esistenza. Non permettete a nessuno di uccidervi. Non lasciate che un sistema lento arrivi tardi a curarvi”.

LE CONSIDERAZIONI DI ESPOSITO – La storia di Anna insegna molte cose. La prima è che potrebbero esserci molti portatori sani che hanno superato la malattia con pochissimi sintomi o senza sintomi, ma che dopo i cosiddetti 14 giorni di quarantena continuino a essere positivi, senza neanche saperlo. Quindi, non dobbiamo abbassare la guardia solo perché i casi positivi testati da Tampone stanno diminuendo. I “positivi” tra noi potrebbero essere tantissimi e potrebbe ripartire l’epidemia se abbassassimo la guardia. La seconda considerazione è che l’arma vincente sui malati, per salvare persone, è anzitutto l’azione precoce di cui il professor Luigi Cavanna è pioniere. Da studioso di Sostenibilità dello sviluppo mi occupo dell’intreccio delle tre crisi: endemica, sociale ed economica. Dovremo convivere per un indeterminato periodo con questa pandemia: la riaccensione dell’economia e la capacità di tenerla accesa e di farla funzionare, convivendo con il “rischio coronavirus”, dipenderà anzitutto dalle nostre azioni. Ovviamente, sul piano economico ci vorranno aiuti alle imprese, fondo perduto pari a quanto hanno perso a causa di questa crisi, una macchina dello Stato che faccia lo Stato. Ho chiesto ad Anna di offrire la sua storia perché è depositaria di molti insegnamenti esperienziali dai quali emergono che sappiamo davvero troppo poco di questo virus. E il divenire della pandemia, la ripresa economica e la soluzione della crisi sociale, dipenderanno anzitutto dalla sequela dei nostri atti, dalla responsabilità di ognuno di noi.