La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza con la quale, nel novembre 2018, la Corte di Assise d’Appello di Bari ha assolto Antonio Colamonico, “per non aver commesso il fatto” dall’accusa di omicidio dell’amante Bruna Bovino, la 29enne italo-brasiliana ammazzata il 12 dicembre 2013 nel centro estetico che gestiva a Mola di Bari. In primo grado la Corte di Assise l’aveva condannato a 25 anni di reclusione, disponendone la scarcerazione dopo quattro anni e mezzo. Adesso servirà un nuovo processo.

Colamonico, difeso dagli avvocati Nicola Quaranta e Nico D’Ascola, è stato arrestato nell’aprile 2014 con l’accusa di omicidio volontario e incendio doloso, appiccato secondo l’accusa per cancellare le prove del delitto compiuto. Il corpo della donna fu trovato semicarbonizzato sul pavimento del centro estetico, fra brandelli di indumenti e sangue, dopo essere stata uccisa con 20 colpi di forbici e strangolata.

Nelle motivazioni con le quali la Corte di Assise d’Appello ha assolto l’imputato un anno fa, i giudici evidenziano che nelle indagini non sarebbe stata “esplorata” una pista che “avrebbe richiesto maggiore attenzione investigativa”, ovvero la presenza di capelli rossi appartenenti a una donna tra le mani insanguinate della vittima, probabilmente riconducibili al vero assassino.

I giudici della Suprema Corte hanno accolto il ricorso della Procura generale di Bari e delle parti civili – i familiari della vittima e alcune associazioni antiviolenza – i quali sul punto ritenevano che quei capelli fossero della vittima. Bruna Bovino, “già sanguinante, nell’afferrare le mani del suo aggressore che le cingevano il collo durante le fasi dello strozzamento”, è scritto nel ricorso, si sarebbe “strappata capelli rimasti involontariamente bloccati nella presa delle sue stesse mani”.