Foto di Pippo Vacca

Nuovi particolari sull’omicidio di Anna Rosa Tarantino, avvenuta per errore a Bitonto il 30 dicembre 2017, emergono dalle motivazioni della sentenza con cui, nell’aprile scorso, sono state condannate nove persone, tra i quali il boss Conte, ritenute responsabili di quattro agguati fino a quello fatale costò la morte all’innocente anziana sarta.

Tra gli abitanti del borgo antico di Bitonto, si legge, c’era “l’abitudine di nascondere le tracce delle sparatorie subito dopo la loro consumazione coprendo i buchi lasciati dalle pallottole sulle facciate delle loro abitazioni”, usando nastro adesivo dello stesso colore delle pareti.

Nelle motivazioni della sentenza, il gup del Tribunale di Bari Francesco Agnino evidenzia il “clima di terrore” e di “intimidazione e omertà diffusa tra la popolazione” anche con riferimento “alla totale mancanza della benché minima collaborazione da parte di qualsivoglia testimone, malgrado fosse stata uccisa un’ignara passante, peraltro abitante del quartiere e conosciuta dagli altri residenti”.

Il giudice ripercorre i “drammatici avvenimenti” di quella mattinata, quando “le fibrillazioni tre i due agguerriti gruppi criminali facenti capo a Domenico Conte e Francesco Colasuonno del clan Cipriano per il controllo delle piazze di spaccio, esplodevano in una serie di attentati armati tra i contrapposti gruppi i cui componenti in orario mattutino, incuranti della incolumità di inermi cittadini, scorrevano le pubbliche vie armati, sparando all’impazzata contro le rispettive roccaforti”.

“E proprio in questo crescendo rossiniano, di inaudita e belluina violenza e sopraffazione, – scrive il gup – era attinta mortalmente la povera Anna Rosa Tarantino, che casualmente si trovava a passeggiare in strada, nel momento in cui era in atto uno di questi feroci raid armati”. Il gup parla di “clima da lunghi coltelli” che “esplose in tutta la sua purulenta e necrotica forza la mattina la 30 dicembre” e in cui “la cieca violenza aveva ormai obnubilato le menti deviate degli appartenenti” ai due gruppi “aspettando un pretesto, anche banale, per esplodere”.

Tale pretesto sarebbe stato offerto dall’aggressione, la sera prima, in danno di un rivale del clan Conte, il quale “pur senza aver individuato preventivamente una vittima specifica, – si legge nella sentenza, che riporta stralci delle dichiarazioni dei due esecutori materiali, Michele Sabba e Rocco Papaleo, condannati a 14 anni e poi diventati collaboratori di giustizia – aveva ordinato di uccidere uno qualsiasi del gruppo Cipriano che spacciava droga nel territorio di competenza del clan al fine di riaffermarne la supremazia”.