foto di repertorio

La gestione dei pazienti affetti da problemi psichiatrici è un problema di cui ci stiamo occupando da mesi. A causa della chiusura dei reparti di psichiatria i pazienti non possono avere le cure necessarie, per non parlare della procedura del TSO che ha ancora delle lacune su come bisogna intervenire. Un caso analogo a quelli raccontati qualche giorno fa è stato segnalato dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Giuseppe, un 25enne di Grumo affetto da autismo, si è lanciato dal balcone a causa di una crisi che i familiari non riuscivano a controllare. Per fortuna una pensilina ha attutito la caduta, ma le ore prima del gesto hanno un qualcosa di agghiacciante, secondo il racconto della sorella al quotidiano locale.

Era la sera del 13 agosto. Il ragazzo ha incominciato ad avere una crisi, diventando violento contro se stesso e i familiari. Loro stessi non riuscendo a fermarlo hanno insistentemente chiamato sia le Forze dell’Ordine che il 118. Secondo quanto raccontato dalla sorella, Carabinieri e Polizia hanno risposto che non essendo di loro competenza non potevano intervenire e che avrebbero dovuto chiamare un medico. “Abbiamo chiesto espressamente un TSO, ma ci hanno risposto che avremmo dovuto avere l’ok del sindaco, ma come avremmo potuto rintracciarlo alle 22 del 13 agosto?”.

Dopo quasi mezz’ora d’attesa, mentre nel frattempo Giuseppe era sceso in strada, è arrivata l’ambulanza. “Pensavamo finalmente di avere l’aiuto che ci serviva ma non è andata così -continua la sorella -. Giuseppe, appena ha visto arrivare l’ambulanza, si è agitato ancora di più e proprio mentre l’ambulanza cerca di avvicinarsi ha sferrato un colpo contro la portiera. A quel punto, l’ambulanza ha fatto manovra ed è andata via. Nessuno di noi poteva crederci. Ci stavamo abbandonando in un momento così tragico”.

Dopo vari minuti in cui i familiari continuavano a chiedere aiuto, Giuseppe si è lanciato dal secondo piano. Solo dopo il gesto è arrivata l’ambulanza con una pattuglia dei Carabinieri. Il ragazzo è stato trasportato al Pronto Soccorso con una frattura al calcagno e un trauma all’occhio. Al momento è ricoverato nel reparto di Psichiatria.

“Dopo lo spavento, la paura, la preoccupazione, abbiamo avuto modo di parlare con le forze dell’ordine e con il personale del 118. I medici – racconta la sorella al quotidiano barese – ci hanno detto che non potevano intervenire senza forze dell’ordine e le forze dell’ordine non potevano intervenire senza i medici. Ci hanno detto che sono sempre troppo pochi in servizio, che c’è carenza di personale, ci sono le ferie. In queste condizioni, io e la mia famiglia abbiamo dovuto aspettare più di un’ora perché qualcuno rispondesse al nostro grido d’aiuto. Penso che sia una cosa inaccettabile e che non dovrebbe capitare a nessuno. Mai”.

Immediata la replica da parte del coordinatore del 118 della Asl di Bari, Antonio Di Bello che ha spiegato che, in casi di scompenso psicotico, il personale sanitario deve operare in condizioni di sicurezza e deve necessariamente richiedere l’intervento delle Forze dell’Ordine. “La gestione di un paziente – spiega a Gazzetta – è molto difficile e pericolosa poiché potrebbe essere pericoloso per se stesso e gli altri. Prima di trattarlo con dei sedativi bisogna bloccarlo e se siamo di fronte a una persona molto forte e robusta devono intervenire gli agenti”.

Riguardo la richiesta dei familiari del TSO, Di Bello ha spiegato la procedura è diversa. “A seguito di una segnalazione, il medico verifica la condizione del paziente, fa la proposta di trattamento sanitario obbligatorio che un secondo medico, uno psichiatra, deve poi confermare. La proposta arriva sulla scrivania del sindaco che firma l’ordinanza che verrà poi trasmessa alle forze dell’ordine e ai medici che interverranno. Il sindaco è chiamato in causa perché il “TSO” è una procedura a tutela della salute del paziente e della sua sicurezza, oltreché della salute pubblica e che, di fatto, limita la libertà del singolo paziente”.