È il 2 maggio. Alle 10.30 ci mettiamo insieme a Mario Scalcione e al suo avvocato Leopoldo Di Nanna, presidente dell’associazione Forza dei Consumatori, ad aspettare che arrivino carabinieri, polizia, ambulanze e rappresentanti del Comune di Matera per lo sgombero coatto. Siamo nel cuore di una delle zone più belle, in piazza San Pietro Caveoso. Il contigente – a ranghi ridotti – arriva dopo mezzogiorno, quando ormai siamo andati via. Non eseguono l’ordinanza, ma comunicano che provvederanno dopo cinque giorni, il 7 maggio.

Mario è in guerra con chi gli ha voltato le spalle, ma soprattutto con lo Stato ormai da 11 anni, cioè cinque anni dopo che il Tribunale di Matera gli ha consegnato le chiavi del complesso aziendale appartenuto a un noto boss della Città dei Sassi. Per cinque anni, dicevamo, attraverso l’associazione Wigwam, di cui è presidente, Mario apre un ristorante. Un progetto a quei tempi innovativo,che prevede l’utilizzo di prodotti a chilometri 0, biologici e tipici. Il tutto dopo aver ripristinato la legalità di quell’azienda, dotandola di tutte le autorizzazioni necessarie e per di più senza soldi pubblici ristruttura l’immobile. L’attività cresce, diventa un punto di riferimento, quando ancora non si poteva neppure immaginare che Matera sarebbe diventata Capitale europea della Cultura. Ancor prima della passione di Mell Gibson.

Quattro dipendenti e, come previsto dalla Legge, l’attività aumenta il valore del bene sequestrato. Insomma, nel caso dovesse essere venduta, lo Stato ne guadagnerebbe, non solo per aver dato la dimostrazione di poter sconfiggere la mafia. Tutto perfetto, non fosse che a febbraio del 2007, accanto al locale di Mario, in via Madonna delle Virtù 43, apre un resort a 5 stelle. In questo caso realizzato interamente con soldi pubblici e rivenduto dopo 4 anni. I proprietari dell’hotel murano la cucina del ristorante. Mario finisce in ginocchio e da quel momento mette il coltello tra i denti e inizia a combattere contro le diverse ramificazioni dello Stato.

L’uomo, ritornato in città dopo un’esperienza di 15 anni a Bologna, porta tutti in Tribunale. Cita il Comune, che inaspettatamente non si costituisce in giudizio; la Provincia di Matera; l’Agenzione dell Demanio e quella dei Beni Confiscati alla Mafia. Cita anche l’associazione Libera, alla quale intanto era stato affidato direttamente il “suo” bene. Tre giorni prima dell’inizio del processo, però, Libera rinuncia a quel bene.

I soggetti pubblici portati in aula si scaricano il barile l’uno con l’altro. Il colpo di scena arriva quanto il Comune, che non si era costituito, denuncia Mario Scalcione per occupazione abusiva. La denuncia viene archiviata. Così come è in fase di archiviazione l’altra denuncia sporta nei confronti di Mario, che in questa storia ha perso tutto. Viene portato nuovamente in Tribunale per aver esposto uno striscione con su scritto: “Vaffanculo”. Rabbia, amarezza, ma anche tanta determinazione a non cedere. Il Vaffanculo, di cui ha chiesto la restituzione, intanto è diventato: “Mafiosi”.

Il risultato cambia poco, soprattutto per l’indignazione nel constatare le condizioni generali dei tre beni confiscati alla mafia presenti nel territorio di Matera, diventati anche oggetto di interpellanze comunali. C’è il suo, in mezzo a una bagarre giudiziaria; ce n’è uno a due passi inizialmente affidato all’associazione Tolbà, che ha dichiarato di aver perfezionato la cessazione dell’interesse, ma c’è soprattutto una terza struttura concessa a un privato.

La guerra di Mario ha acceso un gigantesco riflettore sull’assegnazione dei beni confiscati alla mafia e sulle modalità con cui questi vengono concessi. L’avvocato che lo sta seguendo, poi, ha chiesto al giudice che l’Agenzia per i beni confiscati e l’associazione Libera dicano se ci sono e, nel casi quanti siano, immobili assegnati senza evidenza pubblica. Lo sgombero di queste ore non riguarda la struttura che ospitava il ristorante inutilizzabile perché senza cucina, seppure a Mario era stata assicurata la concessione di un altro locale attiguo per installare i fornelli, ma la parte di quel grande immobile in cui Mario vive.

Dopo 11 anni non non si vede ancora la luce fuori dal tunnel in un paese in cui la Giustizia va piano e spesso non arriva neppure molto lontano. “Non una battaglia per il possesso del bene – spiega Mario – ma la volontà di far valere il diritto di essere libero e uguale in una regione del Sud”. Il club Wigwan era una delle poche realtà italiane a versare un canone allo Stato per la gestione di un bene sequestrato.