Con una massiccia operazione messa a segno dalla Procura di Bari il 19 aprile scorso, ben 21 persone affiliate al clan di Filippo Capriati sono finite in manette. Tra le altre cose, le indagini hanno permesso di fare luce sull’egemonia esercitata dal clan all’interno del Porto di Bari. “Gestiva la viabilità del porto” aveva commentato il Procuratore Capo Giuseppe Volpe.

Le rivelazioni del collaboratore di giustizia Nicola De Santis, ufficialmente un autista dell’Amtab, pentito perché incaricato del delitto, non commesso, dell’amico Maurizio Larizzi, hanno dato un senso più completo alle parole di Volpe. Ricordiamo che all’epoca degli arresti le indagini erano ancora in corso.

Grazie alla fitta rete di “dipendenti” fidati, il clan aveva messo le mani sul traffico di esseri umani, il business internazionale degli ultimi anni, garantendo un passaggio sicuro lautamente retribuito a chi ne avesse bisogno, purché munito di una cospicua somma di denaro al seguito.

D’altronde che il porto di Bari fosse una porta “sicura” per entrare in Europa non è una novità, in più di una occasione le indagini legate alla minaccia terroristica hanno dimostrato il transito dal Capoluogo delle figure coinvolte anche in tempi non sospetti.

La cronaca poi racconta spesso di ingenti somme di denaro non dichiarate intercettate dalla Guardia di Finanza e dai funzionari della Dogana. Quello che non sappiamo è invece chi sia passato e quanto denaro non sia stato intercettato.