“Mi hanno fatto diventare razzista”. Questa frase, pronunciata da uno che al Libertà ci lavora, dice tutto sull’aria che si respira nel quartiere nel cuore di Bari. Qui abita tanta brava gente ma anche qualche soggetto un po’ più “vivace” e in alcuni angoli del quartiere la convivenza diventa davvero difficile.

Ed è un dato di fatto: le risse tra extracomunitari sono quasi all’ordine del giorno, specie in piazza Umberto, ma anche in altre strade simbolo del quartiere come via Argiro o via Ettore Fieramosca. E poi ci sono i soliti episodi di molestie e tentativi di violenze, ma sappiamo bene quanto sia un problema che va oltre la nazionalità e la provenienza.

Uno dei punti più delicati è in via Abate Gimma in quella che la gente del quartiere chiama ormai “la discoteca degli immigrati”. Qui una moltitudine di persone si incontra per mangiare, ballare e festeggiare. Nessun problema, se non fosse che queste “festicciole” spesso e volentieri sfuggono di mano e sfociano in vere e proprie risse che mettono in pericolo gli stessi extracomunitari ma anche gli altri residenti del quartiere.

Magari qualche bicchiere di troppo, una “parola di più” detta nel momento sbagliato e scattano violente discussioni: calci, pugni, schiaffi o nel peggiori dei casi anche accoltellamenti e bottigliate. Una baraonda non quotidiana ma quasi a cui i residenti, barricati sui balconi, sono costretti spesso ad assistere in attesa dell’intervento delle forze dell’ordine.

Tra chi il quartiere lo vive ogni giorni, la paura è tanta e la promessa di maggiori controlli sembra non aver sortito gli effetti sperati: “Con questi non si può ragionare – dice un commerciante – La sera si scannano con mannaie e bottiglie. Le sceneggiate sono quasi ogni giorno, la domenica è sicura. Abbiamo denunciato, chiamato la polizia, fatto petizioni. Per noi le leggi valgono, per loro no”.

Tra gli extracomunitari, però, il responso è diverso: “Al Libertà si sta bene” o “Qui si vive benissimo, però manca il lavoro” sono le risposte gettonate. Almeno tra le persone intervistate nessuno dichiara di frequentare o almeno conoscere quel locale o altri simili nella zona.