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Il commiato, dopo due giorni di campionamenti, avviene nel locale condominiale al piano terra. Appoggiata al muro, a fare da sfondo, c’è una Croce di legno. Sono le ore 14 di un  caldissimo 22 giugno. Resto fuori dalla porta per non essere invadente, ma il silenzio aiuta ad ascoltare una parte del discorso con cui gli esperti del’Arpa del Friuli Venezia Giulia salutano due degli inquilini del palazzo della morte, quello al civico 16 di via Archimede, al quartiere Japigia di Bari.

“Il peggio è passato – spiegano i tecnici incaricati dal magistrato che sta seguendo la vicenda – se qualcosa fosse stata tombata potrebbe aver esaurito il suo effeto nefasto, così come alle spalle potrebbe essere l’eventuale periodo di incubazione che ha portato ad ammalarvi”. I due inquilini, pur non essendoci ancora la certezza scientifica poiché mancano i risultati dei campioni prelevati dal palazzo, dal giardino condominiale e da quello esterno, sembrano più sereni. Certamente meno rassegnati dall’idea di morire senza sapere cosa abbia ucciso tanti di loro.

In un caso o nell’altro, quello che volevano adesso è a portata di mano: la verità. In mattinata era girata voce che un uomo fosse andato sul posto e avesse chiesto di parlare con i responsabili delle operazioni per consegnare loro un dossier con l’elenco di ciò che sarebbe stato sepolto sotto quella lastra di cemento trovata nel primo giorno di scavi.

Nessuno ha confermato la notizia, ma neppure l’ha smentita categoricamente. Non hanno voluto dire nulla i residenti presenti in quel momento, almeno stando all’indiscrezione, ma neppure lo hanno fatto Vigili del Fuoco, Carabinieri e tecnici dell’Arpa FVG. Gli inquilini, soprattutto quelli che dal 1990 hanno dovuto fare i conti con uno o più casi di tumore in famglia, aspettano solo di sapere cosa possa aver scatenato la furia del cancro nei loro appartamenti.