I Carabinieri del Comando Provinciale di Bari, Nucleo Investigativo ed i Carabinieri della Compagnia di Altamura, hanno tratto in arresto Giuseppe Difonzo, classe 1987, di Altamura, su richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere avanzata dal P.M. Simona Filoni ed emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Bari Roberto Oliveri Del Castillo. L’arrestato, già detenuto dal 9 aprile scorso, è accusato dell’omicidio della figlia di soli tre mesi, consumato nella sera tra il 12 ed il 13.02.2016 all’interno del Reparto di Pediatria dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bari.

La piccola, che si trovava ricoverata da due giorni, è morta per soffocamento messo a punto dall’uomo nella stanza di degenza della lattante mediante un meccanismo traumatico di tipo asfittico.

L’omicidio risulta aggravato dai motivi abietti, nonché dall’aver commesso il fatto in danno di una discendente e con premeditazione, nonché con l’ulteriore aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo e di persona, in riferimento all’ora notturna, all’assenza di persone all’interno della stanza di degenza ed alla tenerissima età della bambina, tali da ostacolare la pubblica e la privata difesa.

Le indagini sono state svolte sin dal momento del decesso della piccola con il massimo impegno e la massima determinazione, attesa la anomalia dell’evento morte, con una prima attività finalizzata alla ricerca delle fonti di prova, svolta di urgenza dalla Polizia in servizio presso il Policlinico di Bari nonché, in simultanea, dai Carabinieri della Compagnia di Altamura per gli accertamenti e la perquisizione compiuti in quel centro, con il costante coordinamento della Procura del capoluogo, coadiuvata sin dai primi giorni dalla Prima Sezione del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari.

Gli approfondimenti investigativi si sono protratti fino a giugno 2016, consentendo di avanzare la richiesta di applicazione di misura cautelare già l’8 luglio, all’esito dell’acquisizione di un compendio probatorio risultato gravemente indiziario nei confronti dell’arrestato, conseguente a minuziosi e capillari accertamenti, suffragati da puntuali riscontri, ottenuti attraverso l’audizione di numerose persone (primi soccorritori, medici, infermieri, familiari della deceduta), nonché attraverso la contestuale attività di sequestro di documentazione relativa all’indagato e delle apparecchiature (saturimetro ed holter), delle cartelle sanitarie relative alla persona offesa e di perquisizione dell’abitazione dei genitori della bambina.

Gli elementi così ottenuti sono stati ulteriormente corroborati dalle risultanze dell’attività tecnica svolta e dagli esiti degli ulteriori accertamenti della Polizia Giudiziaria e delle consulenze tecniche disposte nell’ambito del procedimento, fino all’ulteriore riscontro costituito dalle risultanze autoptiche confluite nell’elaborato depositato il 28 giugno scorso dai Consulenti Tecnici nominati dal P.M., il dottor Biagio Solarino Specialista in Medicina Legale e dottore di Ricerca in Patologia Medico-Legale e Tecniche Criminalistiche, il professor Nicola Pirozzi Direttore del Dipartimento di Emergenza ed Anestesia dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma e il professor Roberto Gagliano Candela, Tossicologo Forense.

Le indagini compiute hanno consentito di appurare che la piccola, nata il 29 ottobre 2015, nei tre mesi di vita era stata più volte ricoverata, dopo ripetuti accessi al Pronto Soccorso, negli Ospedali di Altamura e di Bari, tra il 19 novembre 2015 ed il 13 febbraio 2016 per complessivi settantasei giorni, fino al decesso avvenuto appunto il 13 febbraio, durante un’ultima degenza in Ospedale di quarantotto ore.

In occasione dei vari accessi, la piccola arrivava in Ospedale sempre a causa di “riferite cianosi, difficoltà respiratorie, crisi dispnoiche”, condizioni mai riscontrate durante i ricoveri ospedalieri, in occasione dei quali era stata sempre monitorata e non era stata rilevata alcuna anomalia, ad eccezione di quanto accaduto la mattina del suo ultimo giorno di vita quando, intorno alle ore 12.30, era stata colta da una crisi respiratoria, “apparentemente” riconducibile ad inspiegabili motivi di salute, in circostanze che vedevano presente in stanza, all’interno dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bari, esclusivamente l’arrestato ed in assenza di problematiche cliniche che potessero giustificare anche questo episodio occorso alla bambina.

Gli esiti investigativi hanno consentito di accertare che la bimba deceduta era stata destinataria di diverse azioni aggressive e violente ordite ai suoi danni dal padre Giuseppe Difonzo, soggetto portatore della “Sindrome di Munchausen”, verosimilmente trasferita “per procura” alla figlia subito dopo la sua nascita, così come segnalato dal Direttore della Unità Operativa di Neonatologia del Policlinico di Bari già il 13 gennaio 2016 al Tribunale per i Minorenni di Bari, consistite in plurimi tentativi di soffocamento, la cui portata aveva assunto nel tempo un aspetto via via più aggressivo ed incalzante, fino alla maturazione del proposito omicida, portato a compimento con freddezza e premeditazione, nella notte tra il 12 ed il 13.02.2016, atteso che l’arrestato, dopo aver consumato il delitto ed essendo ormai consapevole del fatto che fossero trascorsi i minuti fatali per qualsivoglia azione di rianimazione della bambina, si adoperò in una fantomatica quanto singolare richiesta di aiuto rivolta al personale infermieristico, dopo essere uscito dalla stanza di degenza, quando ormai la bambina si trovava in stato di asfissia avanzata e presentava il volto completamente marezzato.

L’arrestato, soggetto munito di buon livello culturale e di cognizioni medico infermieristiche e giuridiche, dopo aver cagionato la morte della figlia, che dormiva nella stanza di degenza in condizioni di salute ottimali dopo aver effettuato l’ultima poppata alle ore 23.00, non richiese l’intervento dell’Autorità Giudiziaria pur in presenza di circostanze del decesso così singolari, improvvise e prive di ancoraggio al dato clinico. L’intervento della Magistratura è stato richiesto dai sanitari che hanno avuto in cura la lattante.

Prima della nascita della bambina, figlia primogenita, l’indagato aveva effettuato nel giro di pochi anni 28 accessi accertati presso i nosocomi di Altamura e di Matera, a far data dall’anno 2010 e fino al 2015, uno per un tentato suicidio poi rivelatosi totalmente inscenato. Gli stessi erano cessati con la nascita della figlia, successivamente ripresi quando la neonata aveva poco più di venti giorni, con crisi, attribuite questa volta alla figlia, sempre della stessa natura, “riferite” dal padre.

Il 9 aprile Giuseppe Difonzo era stato attinto da ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di violenza sessuale aggravata commessa in danno di una minorenne, figlia di una amica della sua convivente.

Durante tutto il periodo delle indagini l’arrestato ha mutato più volte versione dei fatti, pur di arrivare a far credere agli inquirenti che la notte dell’omicidio della figlioletta non si trovasse da solo in stanza con lei, venendo però smentito dalle risultanze procedimentali, ivi incluse le dichiarazioni della sua convivente e dagli altri riscontri acquisiti.

L’attività di indagine ha consentito di evidenziare che il Difonzo Giuseppe ha manipolato la ignara convivente sin dalla prima convocazione presso la Procura, avvenuta il 17 febbraio, prospettando alla donna una diversa dinamica dei fatti della sera dell’omicidio ed istigandola a mentire agli inquirenti su quanto realmente accaduto.

L’attività svolta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari, diretti dal Tenente Colonnello Riccardo Barbera e dal Maggiore Francesco Zio, di concerto con i Carabinieri della Compagnia di Altamura, si è svolta in totale sinergia con la Procura della Repubblica, con una dedizione ed un impegno esemplari per tutto il periodo delle indagini, ivi compresi gli ascolti di numerosi soggetti protrattisi fino a tarda sera, nonché con l’impiego di raffinate tecniche investigative che hanno consentito di addivenire in tempi brevi alla soluzione di una caso di rara difficoltà, in relazione alla sindrome di cui l’indagato è risultato portatore, nonché al contesto familiare in cui l’ideazione del delitto è maturata, al luogo in cui il crimine è stato commesso ed al legame filiale con la vittima.

Sembra trattarsi del primo caso di omicidio consumato da un soggetto portatore della “Sindrome di Munchausen per procura” scoperto in Italia e posto in essere dalla figura paterna.