Sulla questione dell’allagamento che alcuni giorni fa ha danneggiato la zona industriale di Molfetta, interviene Legambiente che comunica di aver inviato un esposto alla Procura della Repubblica per aiutare a chiarire le responsabilità, indivinduando chi ha contribuito a danneggiare la lama col proprio lavoro.

Legambiente partecipa ai lavori del Tavolo Tecnico istituito dal Commissario Straordinario. Tra le proposte avanzate dall’associazione: un sistema di pre-allerta e un piano per riattivare il corso originario delle lame anche mediante la ricollocazione degli opifici ubicati nelle lame. Intanto, con un esposto alla Procura della Repubblica, Legambiente chiede l’accertamento delle responsabilità.

Non servono le ‘grandi opere’, non serve la cementificazione selvaggia del territorio. Né serve realizzare muri: una diga nelle lame, i canaloni artificiali in sostituzione delle lame naturali, i giganteschi bacini di accumulo che consumerebbero ancora la risorsa suolo preziosa e già a rischio.

Legambiente ha da sempre difeso l’operato dell’Autorità di Bacino (anche in sede giudiziaria, costituendosi contro il Comune di Molfetta in difesa del Piano di assetto idrogeologico) opponendosi, inoltre, ai progetti finora proposti per la mitigazione del rischio idraulico (troppo costosi, troppo impattanti) e proponendo piuttosto di valutare altre soluzioni anche ricorrendo a strumenti come la Valutazione di impatto ambientale.

Coerente a questa linea, l’associazione ambientalista, invitata a partecipare ai lavori del tavolo tecnico tenutosi giovedì 28 luglio e promosso dal Commissario Straordinario, dott. Mauro Passerotti, ha avanzato le seguenti proposte:
1. che il progetto di mitigazione del rischio idraulico riguardi solo quanto già edificato nella zona Asi, nella zona Pip e nelle aree residenziali cittadine a rischio. Tale progetto, in ogni caso, dovrà tener conto delle peculiarità territoriali, morfologiche e paesaggistiche, fino ad oggi stravolte e in parte cancellate dagli interventi di infrastrutturazione pubblica e di edificazione privata: in sintesi, occorrerà realizzare un intervento di riedificazione ambientale finalizzato a riattivare il corso originale delle lame anche mediante la ricollocazione di alcuni opifici improvvidamente costruiti nelle lame. Nella procedura di Valutazione di impatto ambientale – che Legambiente chiede a gran voce da tempo – dovranno essere opportunamente valutate tutte le possibili alternative progettuali per individuare quelle a minore impatto ambientale.
2. che sia installato, in tempi immediati e di concerto con la Protezione Civile regionale e l’Autorità di Bacino, un sistema di monitoraggio e preallerta che consenta la migliore gestione del rischio attraverso interventi più rapidi e con il ricorso ad attrezzature idonee. Se il modesto evento alluvionale di sabato 16 luglio fosse stato opportunamente monitorato con pluviometri (dal costo assai modesto) installati a monte della zona industriale e se fosse scattato l’allarme per tempo con l’intervento delle idrovore già dalle prime ore del mattino, avremmo sicuramente evitato la gran parte dei danni causati dall’inondazione, danni ad oggi stimati pari a qualche milione di euro.
3. che si intervenga con la massima cautela nelle attività di rimozione dei detriti dalle lame. Vanno salvaguardate e ripristinate, laddove danneggiate, tutte le opere di sistemazione idraulica realizzate negli alvei, nel corso dei secoli, dai contadini: terrazzamenti, soglie di fondo, piccole briglie, attraversamenti. Tutte opere, queste, realizzate a secco, perfettamente integrate nel paesaggio rurale, che, ancora in questi tempi, hanno avuto un ruolo fondamentale nel favorire, per quanto ormai possibile, il deflusso delle acque. In definitiva, dunque, sono da evitare sommari interventi di ‘pulizia’ con l’ausilio di mezzi meccanici.

Quanto, poi, all’accertamento delle responsabilità, Legambiente ha formulato e inviato alla Procura della Repubblica un esposto finalizzato a chiarire il ruolo di quanti, a vario titolo, nell’esercizio delle proprie funzioni pubbliche e/o professionali, hanno contribuito a danneggiare il territorio interessato promuovendo la realizzazione di opere all’interno delle lame e così causando una condizione di pericolosità idraulica in ampie porzioni del territorio circostante. Legambiente chiede, inoltre, che le autorità giudiziarie vigilino sulle richieste di denaro pubblico per il risarcimento dei danni: e, questo, al fine di evitare possibili danni erariali e vergognose speculazioni.