Il comunicato stampa del Comitato Diportisti ha avuto l’effetto di innescare una bomba dall’alto potenziale. Al minimo passo falso – oltre i tanti già commessi finora – rischia di saltare tutto in aria. Forse anche qualche testa. I diportisti, in sostanza, denunciano il sequestro delle proprie imbarcazioni perché depositate in attesa di lavori negli spazi di alcuni cantieri nautici dei porti di Bari, Mola, Monopoli e Trani, a seguito di controlli su presute violazioni ambientali da parte delle Capitanerie di Porto di Bari e Monopoli.

Controll che sono apparsi da subito parziali e indirizzati a mettere in cattiva luce la società Pamar Srl. Il caso Pamar è stato un boomerang per l’Autorità marittima. Sequestrato il cantiere navale senza dare al proprietario la facoltà d’us, al contrario di quanto concesso ai cantieri monopolitani, il caso è diventato parecchio imbarazzante. Figli e figliastri rivendicano ognuno i propri diritti. La questione Pamar, denunciano i diportisti, ha avuto il merito far venire a galla i privilegi e le contraddizioni nella gestione dei porti che fanno capo all’Autorità Portuale barese.

Una delle contraddizioni più evidenti, se paragonata agli otto sequestri avvenuti nei diversi porti baresi, è quella di Mar di Levante Srl. La società, oltre ad avere avuto l’autorizzazione a realizzare un pontile di non facile rimozione, ha ottenuto anche il rinnovo della licenza per dieci anni, al contrario da quanto stabilito dall’articolo 4bis della legge 294 del 1993, che indica in quattro anni il termine massimo del rinnovo della licenza. Mar di Levante, poi, pur non potendo effettuare lavori di manutenzione – operazione ufficialmente negatagli dall’Autorità Portuale – avrebbe nel cantiere due autogru di notevole portata con cui effettuerebbe alaggio e varo, ovvero la loro manutenzione e riparazione, a quanto pare essendo sprovvisto sia dell’impianto di dilavamento delle acque meteoriche sia dell’impianto di carenaggio.

La materia è regolamentata dal Decreto Legislativo 152/2006, che prevede in ogni caso sui piazzali in cui sostino imbarcazioni, anche per il solo rimessaggio, un impianto di dissabbiatura e disoleazione. Tanto più se su quei piazzali si effettua il lavaggio delle carene dei natanti, dal momento che quelle acque reflue hanno un’alta concentrazione di metalli pesanti, utilizzati nei trattamenti antivegetativi delle carene. In assenza di questi impianti di depurazione, le acque reflue finiscono direttamente in mare. Di qui il giustificato sequestro alla Pamar, ma non gli altrettanti giustificati sequestri alle altre società che come Pamar non erano a norma e continuano a non esserlo.

Nel 2015, ben nove anni dopo l’entrata in vigore del Dl 152/2006, sono stati avviati i controlli nei cantieri nautici per verificare il rispetto di questa disposizione. La Capitaneria di Porto, sulla base delle disposizioni di legge, contestò alla Pamar Srl i reati di occupazione abusiva della concessione e della mancata realizzazione dell’impianto di dilavamento del piazzale. Poco più tardi, il 19 ottobre dello stesso anno, lo stabilimento nell’area portuale veniva sequestrato.

Nell’intera area portuale di Bari, la Pamar Srl è risultata essere l’unica azienda fuori norma, al contrario di quanto avvenuto in altre aree portuali della provincia. A Monopoli, per esempio, i cantieri sequestrati sono stati sei. Le prove del diverso trattamento riservato alle società e associazioni che si occupano di diporto nautico, starebbero nelle fotografie aeree dell’area portuale di Bari, che pure pubblichiamo in questo articolo.

Le società concessionarie, stando alla denuncia del comitato, sarebbero undici. Sul fronte mare Marisabella, il Cantiere Rettifiche Ranieri Srl sarebbe sprovvisto dell’impianto di trattamento delle acque di carenaggio, mentre le società Ciccio Pascazio Srl, Mar di Levante Srl e Darsena Marisabella Sas, non avrebbero neppure gli impianti per il trattamento delle acque meteoriche.

Sul molo Pizzoli, invece, le società concessionarie sarebbero Marina Sport srl, C.D.S. Srl e Ramar Srl 1, sprovviste di raccolta e depurazione delle acque di carenaggio. Fipsas, Pamar srl, Lega navale Italiana e Ramar srl 2, sarebbero sprovviste di entrambi gli impianti.

Inoltre, in tema di reflui e raccolta di acque di prime piogge, anche l’Autorità Portuale, gestore delle banchine a servizio delle navi da crociera e commerciali, non essendo in alcun modo esonerata dall’applicazione del testo unico ambientale, avrebbe dovuto realizzare impianti di prime piogge sui moli di suo interesse, insieme ai raccomandatari marittimi che operano sulle banchine per il carico e scarico delle merci. Neanche questo, invece, è stato fatto.

Si predica bene, ma si razzola male. Da un lato si chiede agli imprenditori – non a tutti, però – di mettersi in regola con le disposizioni di legge in materia ambientale, investendo grosse cifre; dall’altro l’Autorità Portuale risulterebbe totalmente inadempiente anche per quanto riguarda il trattamento delle acque reflue, come abbiamo dimostrato pubblicando il video di uno scarico fognario direttamente nelle acque della darsena del Porto vecchio, ad appena cento metri dalla Pamar Srl.

A questo punto appare non più procastinabile l’intervento dell’ottimo Baldo Pisani, il pubblico ministero che sta conducendo le indagini, in modo tale da evitare che il suo lavoro possa continuare a sembrare solo un accanimento nei confronti di Pamar piuttosto che il desiderio di far rispettare la legge a tutti i soggetti coinvolti da questo problema. In conclusione, poi, Capitaneria di Porto e Autorità Portuale per quanto gli compete dovrebbero intervenire quanto prima. La prima in sede penale, l’altra sotto il profilo amministrativo.