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La doppia gestione del servizio di emergenza-urgenza barese, con la centrale operativa affidata al Policlinico e tutto il resto a un coordinamento che fa capo alla Asl, è pericolosa. In questi anni lo abbiamo dimostrato in ogni modo, ma ciò che è successo tre sere fa al pronto soccorso dell’ospedale della Murgia ha davvero dell’incredibile. Intorno alle 20, arriva un paziente altamurano di 76 anni. Ha un forte dolore al torace. Alla fine della visita cardiologica gli viene disgnosticato un infarto.

Il polo di eccellenza de noantri, però, è ancora senza un’emodinamica – pur promessa entro dicembre scorso dal fuggitivo direttore sanitario Alessandro Sansonetti – e allora viene attivato il 118 e con esso il cosiddetto protocollo STEMI. In altre parole si chiama l’ambulanza del servizio di emergenza-urgenza 118 della postazione di Altamura, che porta l’infartuato dal Perinei all’ospedale Miulli di Acquaviva, dove intanto viene approntata la sala per l’angioplastica.

Tutto pronto per la corsa contro il tempo, direte voi. Al contrario, increbibile ma vero, il paziente al quale è stato diagnosticato un infarto dal cardiologo del pronto soccorso, quindi non da un medico qualunque, resta parcheggiato per un’ora in attesa che qualcuno si prenda la responsabilità di autorizzarne lo spostamento. L’imbarazzo è tanto, purtroppo meno della vergogna.

Davanti all’incredulo parente dell’infartuato inizia un vergognoso balletto di responsabilità. Il medico in servizio alla centrale operativa, Ivana Bruno, la stessa della notte dei soccorsi alle vittime dell’attentato alla sala giochi Green Table di Altamura (costato la vita a Domi Martimucci), sentita l’équipe ospedaliera che ha visitato il paziente, avvia verbalmente il protocollo STEMI. Arrivata l’ambulanza, però, il medico del 118 rifiuta di partire senza un’autorizzazione scritta. La dottoressa della centrale fa sapere che per procedere ha bisogno di un fax con l’elettrocardiogramma del paziente. Per problemi non ancora noti, però, il referto non può essere inviato.

“Non è mia responsabilità”, avrebbero detto uno dopo l’altro i protagonisti di questa ennesima storiaccia, che comunque resta di malasanità pur non essendo per fortuna morto nessuno. Il valzer non accenna a fermarsi, nonostante il cardiologo pressi affinché non si perda altro tempo. Niente da fare, la situazione non si sblocca. A quel punto interviene in gamba tesa il primario della cardiologia di Altamura. È lui ad autorizzare per iscritto il 118 ad effettuare il viaggio del paziente dall’ospedale della Murgia al Miulli di Acquaviva, baipassando la centrale operativa del 118 e probabilmente salvando la vita all’uomo.

Fin qui la cronaca, ma questa ennesima storia triste apre la strada ad alcune considerazioni. La medicina, purtroppo, è diventata più che altro il tentativo di scansare denunce e conseguenze medico-legali da parte di molti operatori, ai quali si contrappongono alcuni temerari convinti ancora che la medicina sia innanzitutto tentare di salvare la vita alle persone.

La morte di Giovanna Mastrogiacomo e la vicenda dei medici in catene, assolti dai burocrati che li accusavano, sono l’emblema di ciò che scriviamo. Non solo. I medici coinvolti nella faccenda non sono forse tutti professionisti? Possibile che non ci si potesse fidare del cardiologo che aveva accertato l’infarto prima di sbrigare le pratiche imposte dalla burocrazia? La vita delle persone sempre più spesso vale meno delle scartoffie. Siamo rammaricati, soprattutto perché in questi anni abbiamo conoscito tanti professionisti eccellenti.

E il medico del 118 intervenuto sul posto, attivato dalla centrale operativa, non dovrebbe forse essere capace di interpretare il tracciato di un elettrocardiogramma? Ricordiamo che la golden hour dell’infartuato – l’ora successiva all’infarto, detta d’oro perché può aumentare la possibilità di sopravvivenza – è andata a farsi benedire. Finito il balletto, infatti, ci sono voluti almeno altri trenta minuti prima di raggiungere Acquaviva, dov’era già stata apparecchiato per l’angioplastica.

E il medico della centrale, attivato verbalmente il protocollo STEMI, evidentemente fidandosi in un primo momento del cardiologo dell’ospedale, che motivo aveva di aspettare il referto in quel momento critico? Il costosissimo protocollo STEMI, prevede che nei casi come quello in questione, quando cioè non si riesca a inviare la documentazione per esempio via fax, venga attivata la telecardiologia. Nella fase di conferma disgnostica e nel pieno rispetto del protocollo, al medico della centrale sarebbe bastato ordinare al collega del 118 di effettuare un telecardiogramma. In quel caso il paziente e non la burocrazia sarebbe stato davvero al centro dell’intervento.

Il guaio vero è che la gestione del servizio sembra essere affidata all’improvvisazione. Manca una guida. La storia del paziente infartuato parcheggiato al pronto soccorso della Murgia tira dentro anche i piani alti di un sistema che premia la mediocrità per salvaguardare se stesso. L’ex direttore sanitario dell’ospedale della Murgia, Alessandro Sansonetti, aveva ammesso ai nostri microfoni l’incompatibilità del doppio incarico di Antonio Dibello, contemporaneamente capo del coordinamento del 118 barese e del pronto soccorso dell’ospedale della Murgia. Adesso, probabilmente perdendo entrambi o uno dei due incarichi, Dibello è designato ad andare a dirigere il pronto soccorso della Mater Dei.

Ma quanti piedi? E in quante scarpe devono essere messi? Gaetano Di Pietro, il direttore della centrale operativa, invece, è a conoscenza della gestione del caso? Ha ricevuto anche lui le stesse lamentele che riceviamo costantemente in redazione? Dibello e Di Pietro non potranno mai smentire il fatto che un’ambulanza di rianimazione sia stata sottratta al territorio, parcheggiata al pronto soccorso insieme all’infartuato, senza che nessuno abbia preso alcuna decisione, anche quella abbastanza scontata di confermare la diagnosi attraverso la telecardiologia. Che senso ha dotarsi di sistemi, già di per sé lacunosi, se poi neppure vengono impiegati?

Rivolgiamo la domanda al direttore generale della Asl di Bari, Vito Montanaro; a Giovanni Gorgoni, direttore del Dipartimento della Promozione della Salute della Regione Puglia e all’assessore alla Sanità e governatore pugliese della, Michele Emiliano. Tutto ciò rende ancora più lacunoso il piano di riordino ospedaliero. Ovviamente restiamo a disposizione di chiunque abbia voglia di fare qualsiasi precisazione. Nel caso non ce ne fossero, perché tutto è andato come abbiamo raccontato, sarebbe bello ogni tanto ricevere una spiegazione, magari attraverso un’intervista. I cittadini hanno il diritto di sapere perché dovrebbero rassegnarsi a questo modo di fare, anche quando in ballo c’è la propria vita.