di Antonio Loconte e Gianluca Lomuto
Bari, via Giulio Petroni. Al lavoro alcuni operai in un cantiere per interventi di manutenzione a delle tubature. La carreggiata è necessariamente ristretta e le macchine dovrebbero, in teoria, transitare a senso unico alternato, col flusso regolato da un operaio con la paletta rossa e verde. In realtà la auto camminano come se niente se fosse finché succede ciò che non deve: forse per un momento di distrazione dell’operaio, un anziano alla guida della sua utilitaria lo urta con la macchina e l’addetto cade a terra, ferito. Lamenta dolori. Arriva il 118 che lo porta in ospedale. “Fortuna” vuole che proprio in quel momento stiamo passando anche noi da lì. Cerchiamo di ricostruire com’è andata, ma ciò che salta subito agli occhi è il mancato utilizzo dei dispositivi di sicurezza.

Il punto è sempre lo stesso, la sicurezza di chi si trova a lavorare in condizioni oggettivamente sfavorevoli. Più volte in passato abbiamo testimoniato con foto e video come gli stessi operai non hanno rispetto della propria vita. “Tanto a me non succede”. Abbiamo beccato gli operai a ingegneria, là dove si insegna la sicurezza, ne abbiamo beccato uno in viale Salandra a diversi metri di altezza, abbiamo filmato gli addetti alle luminarie per la festa di San Trifone ad Adelfia, più volte nel corso degli anni, ma i casi eclatanti sono davvero tanti. Proprio loro, che rischiano in prima persona, ne sono consapevoli fino al punto di non voler rispondere alle nostre domande.

Saranno anche scomodi e fastidiosi, ma i dispositivi di sicurezza sono fondamentali. Lo sanno bene quelli che, non usandoli, sono morti. Quello che davvero non capiamo è perché i datori di lavoro, in qualche modo, non intervengono, magari sanzionandoli. Anche perché, in fin dei conti, ne rispondono o sono chiamati a risponderne quando succede qualcosa.

E allora? Allora basta con le belle parole. Con le chiacchiere stiamo a zero. Con i morti, purtroppo no.